Gli occhi taglienti, celesti come il cielo sulle grandi distese americane che amava raccontare nei suoi libri,
John Steinbeck, lo scrittore di Furore disse “Hemingway ha creato una lingua nuova. Ha fatto ciò che i poeti cercavano di fare con l'arte del linguaggio, ma l'ha fatto con una prosa che ogni uomo poteva capire”, profondamente diversi eppure così simili nel raccontare la vita e la morte. Sarà stato quel vivere ogni momento come fosse l’unico, non l’ultimo, che donò alla penna di Hemingway un talento fuori dal comune o come scrisse Fitzgerald in una lettera a Maxwell Perkins, 1934 “Hemingway è un uomo che ha visto molto e ha scritto molto, ma a volte penso che sia troppo ossessionato dalla morte e dalla violenza”. Fitzgerald aveva una visione lontana da quella di Hemingway traducibile con le sue stesse parole “non esistono che diamanti, diamanti e forse lo squallido dono del disincanto”, ma per Hemingway l’amico “aveva un talento straordinario. Era un uomo bellissimo e, quando parlava di scrittura, sembrava che tutto fosse a portata di mano. Ma la sua vita personale gli impediva di realizzare il suo pieno potenziale”. Nonostante l’antipatia reciproca tra Hemingway e Zelda Fitzgerald, entrambi tracciarono il comune limite dell’amico e marito “Mio marito è uno scrittore molto bravo, ma è troppo ossessionato dal suo ego. Le sue storie sono sempre su di lui, come se non riuscisse a pensare a nient’altro che a se stesso”. A se stesso, ai diamanti, allo champagne e a quella vita scintillante che era riuscito a vivere, anche se per poco.
Infinitamente più caustica fu Dorothy Parker che dell’autore de Il Grande Gatsby disse “Fitzgerald ha scritto solo un libro, ma l’ha scritto molto bene”.
A mettere tutti d’accordo era John Fante che per Bukowski “è il mio Dio. Ho letto Chiedi alla polvere e sono rimasto stordito. Per me, Fante è stato una rivelazione. Mi ha insegnato a scrivere con la mia voce, senza paura” e per Henry Miller “Fante è un uomo che scrive come se non avesse nulla da perdere. La sua scrittura è un'arte del rischio, dell'errore, della vita che si fa strada in mezzo al caos”.
Certo aleggiava sempre Hemingway che andò oltre quel talento naturale come il disegno tracciato dalla polvere sulle ali di una farfalla. Le parole non erano orpelli, le sue erano chiare, limpide, dirette, gliene rese atto anche un altro premio Nobel, Gabriel Garcia Marquez che in una intervista del 1982 disse “Hemingway è stato uno degli scrittori che ha influenzato più profondamente la scrittura del XX secolo. La sua semplicità, la sua franchezza e la sua capacità di ridurre l’esperienza umana all'essenziale sono inimitabili. Ma non credo che la sua scrittura mi abbia mai influenzato direttamente. Forse il suo senso dell’essenziale, ma il mio stile è molto diverso”. Nonostante la stima, il vero maestro di Marquez era Faulkner che “…ha scritto dei libri che sono più veri della vita stessa. La sua narrativa è così intrisa di dolore che ogni pagina sembra quasi un testamento” e ancora “Faulkner è stato il mio maestro. La sua scrittura ha cambiato il mio modo di concepire la narrazione, ma ciò che mi colpiva di più era la sua capacità di trasformare la realtà in qualcosa di mitico e leggendario. Ho imparato da lui che la verità non sta solo nei fatti, ma nel modo in cui vengono raccontati”.
Marquez aveva una visione più divertente, a volte immaginifica come Calvino di cui disse “ è uno scrittore che ha una qualità rara: riesce a parlare di cose straordinarie con una prosa apparentemente semplice. Ma dietro questa semplicità c'è sempre un'enorme profondità. La sua capacità di mescolare il fantastico con il reale mi ha sempre affascinato”.
Dall’altro lato dell’oceano nel conforto di un mare che ha visto la storia scorrergli davanti, Calvino del suo collega sudamericano disse “Marquez ha avuto il coraggio di scrivere una storia che è allo stesso tempo universale e profondamente radicata nella sua terra. Il realismo magico che ha sviluppato è stato una delle grandi innovazioni del nostro tempo. In lui, la finzione diventa realtà, e la realtà è così incredibile che sembra una favola – e ancora – con Cent'anni di solitudine, Gabriel García Márquez ha scritto un libro che è una porta spalancata su un mondo completamente nuovo. Non è solo una storia di una famiglia, è una storia universale dell’umanità. Non avevo mai letto qualcosa che mi facesse sentire così vicino a una realtà completamente lontana dalla mia”. Ed è tutto. O quasi.