Infondoalmare

Storia di una cicatrice inaspettata

Storia di una cicatrice inaspettata

Quel giorno mi ero messa il top grigio della palestra, adoravo quel completo, tutto aderente, che accarezzava le forme del mio corpo,

sempre allenato e sempre curato, ma nella testa una voce mi diceva costantemente: “toccati la mammella destra!” 

E con un: “no, non esiste.” Allontanai il pensiero. 

Avevo perso mio padre da pochi mesi e mi aveva lasciata il mio ex. 

“Che poi cosa voleva a fare dei figli se mi ha tradita?”

Vai a capirli questi uomini. Mi abbracciava tutte le notti come se non volesse mandarmi via e poi la motivazione me la sono dovuta cercare e come una pillola amara ingoiare. Quanta rabbia e quanta sofferenza. Mi aveva veramente ferita, nel periodo più triste della mia vita. Il Natale era quasi alle porte, era l’8 dicembre ed io ero nel mio letto, c’erano mio nipote Francesco, stesso nome di papà e mia cognata che dormivano, erano le 6 del mattino e per stare più comoda mi ero girata sul fianco sinistro, così la mano e andata a finire sulla mammella destra:

“Che cosa è questa cosa?” Dissi. Mentre senza controllo una  lacrima bagnava la mia guancia. Era una pallina piccola tonda e dura. Presi il telefono e scrissi a mio fratello, che era nell’altra stanza. 

“Leo sei sveglio?”

“Sì…”

“Mi sono toccata la mammella ed ho sentito una cosa strana, sono un po’ in pensiero.”

“Vedrai che non è nulla...stai tranquilla.”

                                  ***

“Dottore, settimana prossima iniziamo a combattere!!”

“Angela settimana prossima iniziamo a vincere.” 

Era il 4 aprile 2023 e le prime gocce di chemioterapia Rossa iniziavano ad entrare nelle mie vene, nel mio corpo, oltrepassavano tutto. Ero seduta su quella sedia Rossa, con la coperta blu e guardavo oltre la finestra, il cielo terso di un insolito pomeriggio. Marina, l’infermiera, veniva ogni tanto a chiedere come stesse andando ed ironicamente mi diceva: “Ha lo stesso colore dello spritz!”. E’ vero e mentre scrivo queste parole, sento l’odore nelle narici ed una sensazione di nausea pervade il mio corpo. Così iniziava la mia scalata su questa grande montagna che la vita mi aveva messo davanti, come se non bastasse, come se tutto il dolore che avevo provato non era stato nulla. Quel giorno mi sono ripromessa che non sarei più stata il contenitore delle persone tossiche, quel giorno era il giorno zero. I mesi trascorrevano come una corsa, ed ogni 21 giorni mi sedevo su quella sedia ed incontravo tanti racconti, tante donne che non si accettavano, che si vergognavano, donne deboli e donne forti. Alessandro, l’infermiere cercava di aiutarmi a non vomitare, effetto collaterale che mi ha accompagnato per tutto il “viaggio” , tanto da soprannominarmi “Barbie vomitino”. Lui intanto era ancora lì, si era affezionato alla mia pelle, alla mia persona, veniva stonato, aggredito, ma continuava a farmi male e mentre tutto quello che girava intorno alla mia vita, il lavoro, le attività e gli interessi andavano avanti e si godevano l’estate, io restavo ferma nella mia camera a guardare le luci della mia città, e non appena sentivo che il mio corpo aveva bisogno, scappavo a guardare il mare e a sognare. 

“Tu sei forte!!” mi dicevano. 

“Tu sei una guerriera!!” così mi chiamavano.

Io mi sentivo una coraggiosa, una a cui era stata data l’opportunità di conoscere la vita da un lato totalmente diverso, nonostante quest’ultima aveva giocato molto duro. Io, mi alzavo e sceglievo di ridere, di sdrammatizzare quello che mi stava accadendo. Era un’estate diversa.

                            ****

“Angela, Angela, Angela..”

Le voci si schiarivano mano mano che il mio nome veniva ripetuto e così ho aperto gli occhi. 

“Dove cavolo era stata la mia anima  in quelle sei ore??”

Perché il mio corpo lo so dov’era. 

 “È già tutto finito?" 

“Come mi sono addormentata?” dissi.

“Ti ho chiesto quali locali ci sono a Bari adesso.. e ti sei addormentata” Rispose.

In effetti avevo visto quella bella donna dagli occhi verdi, che mi aveva detto che l’amore non esiste o meglio ancora che era raro e tutti i torti non aveva, mi aveva messo con una siringa un’altra cosa nelle vene. Una roba più forte. “Mi viene da vomitare?” Finii di dire e Rino, l’infermiere di sala, che prima di addormentarmi mi aveva detto che ero diventata famosa perché tutti parlavano di me, si è avvicinato con il sacchetto. Solo due conati e sento dire: “Ah si, adesso ha preso colore.” L’intervento è andato benissimo.

"Linfonodi negativi ed hai entrambi gli espansori, adesso, andiamo che giù ti aspettano tutti".

"Tutti chi???".

Mia madre, le mie sorelle, zii, nipoti. Ho ringraziato Dio ed il mio Angelo e mi sono chiesta: chissà cosa avrebbe fatto, cosa mi avrebbe detto.

Avevo una sensazione di libertà, era come se il peso di quel tumore, un anno insieme passo dopo passo, lo associavo a tutta quella sofferenza, di quella storia finita in cui avevo creduto, che mi aveva fatto male mentre mio padre si ammalava. Ma qualcuno da lassù mi ha detto: “figlia mia ti salvo stavolta come l’ultima volta.” Per dirla alla Tiziano Ferro. Ho guardato la ferita due settimane dopo. Un taglio lungo e sottile, perfetto, dritto, cucito bene. Non c’era più il capezzolo, ma anche le mie “tette”, quelle che per 38 anni mi avevano accompagnato nei viaggi più straordinari della mia vita. Una parte di me era andata via con lui, Un po’ come quando finisce una relazione, che in qualche modo ti porti dietro qualcosa dell’altro, come racconta Dirac nell’equazione dell’amore. Che mi sono anche tatuata anni fa. 

Mi era venuto in mente il lungo taglio che aveva mio padre, dallo stomaco fino all’ombelico e con orgoglio mi sono detta: “Benvenuta inaspettata cicatrice, tu sei il segno particolare di questa mia guerra”. 

Pressinbag Testata Giornalistica

www.pressinbag.it è una testata giornalistica iscritta al n. 10/2021 del Registro della Stampa del Tribunale di Bari del 10/05/2021.

Contatti

Per qualsiasi informazione o chiarimento non esitare a contattarci scrivendo ai seguenti indirizzi