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Chefchaouen, la città azzurra

Chefchaouen, la città azzurra

Azzurra come il cielo senza fine, come il mare profondo e immenso, come il paradiso nei sogni di una umanità disumanizzata.

Chefchaouen la cittadina berbera sulle montagne del Rif, nella regione di di Tangeri-Tetouan-Al Hoceima, ai piedi delle sorgenti di Ras al-Ma,  fondata nel 1471 da Moulay Ali ben Rachid nasce come punto da cui attaccare i portoghesi di Ceuta. Divenne poi simbolo di pace nel 1494 con l’arrivo dei primi musulmani ed ebrei partiti da Granada in cerca di una terra che li accogliesse, dove non sentirsi estranei. Il simbolo di una ritrovata pace fu l’azzurro che ricoprì il paese intero. Tutto fu ridipinto, creando una distesa sconfinata di azzurro.

Fu ripensata come città sacra, interdetta ai cristiani e in generale a tutti gli stranieri. Interamente immersa in quella tipica tonalità marocchina, fusione tra il fiordaliso e il blu di prussia. Come se il mare fosse salito così tanto verso il cielo immergendola interamente nel suo colore che richiama Il cielo blu di Vasilij Kandinskij dipinto quando anche lui fu costretto a fuggire dalla Germania per nascondersi in Francia.

Mura, tetti, stradine, un tripudio di azzurro che invoca la pace e la diffonde tra i granelli di sabbia, nella terra arsa dal sole, sulle mura in calce. Una città per vivere più spiritualmente, più vicini al cielo e a quel Paradiso, promessa di una vita migliore. Chaouen, “le vette”, poi Chefchaouen “guarda le vette”, dei vicini monti e poi più in su, innalzando l’animo al cielo.

Accolse gli ebrei e i musulmani una seconda volta, in fuga dall’Europa invasa dalla furia nazista. L’azzurro avrebbe scacciato via dagli occhi e dal cuore l’obbrobrio della guerra, l’insensatezza della violenza sconfinata, la banalità del male. “Quanto più il blu è profondo, tanto più fortemente richiama l'uomo verso l'infinito, suscita in lui la nostalgia della purezza e infine del sovrasensibile. Esso è il colore del cielo, come ce lo immaginiamo quando sentiamo il suono della parola cielo” scrisse l’esule russo che migrò in Italia, in Sud Africa, in Germania e in Francia in cerca per tutta la vita di un po’ di pace.

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