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La Certa, non chiamatela morte

La Certa, non chiamatela morte

Non fa paura, non la si rifiuta, si sente e si accoglie. Il suo nome non si pronuncia, si chiama La Certa, perché nulla è più sicuro di lei. 

 La morte in Sicilia si festeggia ogni anno e come scriveva Goliarda Sapienza “A noi i regali ce li portano i morti” tutti quei morti che

non stanno né al paradiso né all’inferno, ma vivono tra i vivi.

Il 2 novembre nella Chiana dei morti a Catania questa tradizione si riaccende “con luminarie e fiaccole, montagne di biscotti e giocattoli, ridendosene degli stranieri e della morte”, le tavole si riempivano di ceste di frutta di martorana colorata, i pupi ri zuccaru dipinti, che ritraevano i paladini e poi i crozzi i mottu, le ossa di morto.

I bambini tra canto e preghiera invocano i morti “Animi santi, animi santi, Io sugnu unu e vuiautri síti tanti: mentri sugnu 'ntra stu munnu di guai cosi di morti mittitimìnni assai”.

E loro, i morti, sfilavano in processione. Prima quelli morti di morte naturale, poi i giustiziati, i disgraziati, i morti all’improvviso e poi tutti gli altri. Tornavano a farsi rivedere.

Ma la morte arriva non solo il 2 novembre. Arriva anche per mano altrui. Quella dell’accabadora, “colei che finisce”, una donna anziana, vista come un’ultima madre che dona la morte come gesto di pietà per chi soffre. Una donna che vive il peso di tanta morte data, che se per gli altri era liberazione, per lei era un fardello che aveva deciso di portarsi addosso “Come gli occhi della civetta, ci sono pensieri che non sopportano la luce piena. Non possono nascere che di notte, dove la loro funzione è la stessa della luna, necessaria a smuovere maree di senso in qualche invisibile altrove dell’anima.” scrive Michela Murgia.

Quell’altrove in cui è stata trascinata Persefone con l’inganno. Neanche Zeus, il più grandi di tutti gli dei poté riprendersi sua figlia. Sei grani di melograno aveva mangiato e bastarono a imprigionarla per sempre. Chi mangia il frutto dell’inferno non può più tornare indietro.

Demetra, sua madre, era furiosa, Zeus con Ade (dio degli inferi) fece un accordo. Alla giovane e bellissima Persefone per sei mesi l’anno fu concesso di vivere sulla terra e per gli altri sei sedeva al fianco del marito negli inferi. Ed è in suo onore, per la sua risalita che ogni anno la terra rifiorisce in primavera e in estate, per poi morire in autunno e in inverno, quando i suoi piedi non la solcano, ma tornano nel buio dell’inferno.

Bastarono sei grani di melograno. 

Mele e castagne bollite infilati in una collana, erano il dono che i bambini di Massa Carrara portavano al collo, omaggio ai defunti che tornavano dalle tenebre, affamati.

Perché i morti non vanno offesi, né fatti arrabbiare. Ma feste e doni bisogna portare. 

Nell’Argentario ai piccoli orfani venivano cucite grosse tasche sui grembiuli per accogliere le offerte di cibo di tutti i passanti e tante piccole scarpette venivano poste sulle tombe dei bambini morti, per permettergli di coprirsi i piedi e camminare tra i vivi.

Un omaggio, un regalo, un pensiero, un inno, una preghiera, anche una festa. Perché la morte sai cos’è? “è una livella”.

Ineluttabile e certa aspetta il suo momento, guarda gli sprechi, i guazzabugli, le inutilità e resta impassibile davanti a tanta stupidità perché “Sti ppagliacciate 'e ffanno sulo 'e vive:nuje simmo serie...appartenimmo à morte!”.

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