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Le sue gallerie erano cerniere tra due mondi.
Quando Ileana Sonnabend, nata Schapira a Bucarest apre nel 1962 la sua prima galleria a Parigi, cambia il volto del mondo dell’arte, sposta i confini di ciò che è ammesso in una galleria scoprendo e portando alla fama decine di artisti. Passa la vita a ricucire lo strappo tra Europa e America. L’arte è assoluta e universale, e soprattutto è per chi sa guardarla.
Fu tra le prime a esporre in Europa Andy Warhol, Roy Lichtenstein per nulla compreso in patria trova in Europa e nella sua galleria la consacrazione, Robert Rauschenberg, che affettuosamente la chiamava mamma anche se erano coetanei, vinse il Premio della Biennale di Venezia 1964, anche per il suo appoggio e poi gli italiani e l’arte povera, che grazie a lei furono conosciuti in tutto il mondo Jannis Kounellis, Michelangelo Pistoletto, Pier Paolo Calzolari. La lista degli artisti che ebbero fama e successo grazie a lei è infinita.
Leo Castelli, il “più importante gallerista del XX secolo” e suo primo marito diceva “Il suo gusto era infallibile. Ileana vedeva gli artisti prima di tutti noi”. Quando le chiese cosa volesse come regalo di fidanzamento, non scelse un anello, ma un acquerello di Matisse.
Timidissima, parlava poco e a bassa voce, John Baldessari diceva che dopo un incontro con lei non eri mai sicuro di averle parlato abbastanza, di averle spiegato le opere, ma era sempre sicuro che “lei ti aveva compreso completamente, sapeva leggere le persone”.
Negli anni in cui l’antisemitismo imperversava in Europa lei e suo marito, entrambi di origini ebraiche scapparono in America, con il divorzio da Castelli, di cui rimase per sempre amica e sodale, si innamora e sposa Michael Sonnabend, pacato studioso di Dante Alighieri, volano a Parigi, dove lei inaugura la sua prima galleria d’arte, poi nuovamente l’America con New York e la sua seconda galleria, su Madison Avenue. Appena un anno dopo decide di trasferirla al 420 West Broadway di Soho, contribuendo a trasformare un quartiere periferico, semi-abbandonato e poco attraente nel centro dell’arte contemporanea mondiale.
Ma fu Venezia ad essere il suo luogo d’elezione “la lentezza della città aiuta a pensare” e la Biennale era il suo campo di caccia.
L’arte era il suo tutto, ma non la collezionava per sé, “le opere devono vivere e circolare” non restare chiuse in casa.
Era una sorta di curiosità, sempre alla ricerca di una scintilla. Quando nel 1963 Pistoletto mise in mostra i suoi Quadri specchianti alla Galatea di Torino Ileana comprò in blocco tutte le opere in mostra.
Che il suo sguardo fosse capace di guardare lontano, molto più di chiunque altro fu chiaro da subito. “Io voglio solo ciò che non mi piace”, era una delle frasi che più la contraddistinguevano, cercava ciò che era inusuale, fuori dai canoni, ciò che era sfidante, controcorrente, ciò che gli altri non erano capaci di guardare. Durante l’allestimento di una mostra di Kounellis e Zorio agli assistenti preoccupati del pavimento della galleria che sarebbe potuto essere danneggiato dal peso delle opere, la sua risposta fu “Meglio il pavimento che l’arte”.
Chapeau.
E quando i critici stroncarono la mostra di Rauschenberg a Parigi negli anni Sessanta definendo le opere “spazzatura americana travestita da arte” lei serafica rispose “Perfetto. Allora le venderò a chi vede l’oro dove altri vedono la spazzatura” e fece centro, la mostra fu un successo e Rauschenberg divenne una star.
I suoi occhi erano infallibili, Pistoletto di lei diceva “ascoltava con gli occhi”.
Quando inaugurò la galleria a Soho, saltò la corrente elettrica, tutti rimasero al buio, lei placida e ironica come sempre, forte dell’incrollabile fede che riponeva nel potere dell’arte, distribuì a tutti delle torce per ammirare le opere, la risposta unanime fu “forse era così che dovevamo vederle fin dall’inizio”. Anche quando ricevette una cassa con le opere d’arte sbagliate, non si indispettì, la aprì e disse “Forse è un segno. Vediamo se questo artista è più interessante di quello che stavo aspettando”, di più non è dato sapere, ma le piacque tanto da inserirlo in catalogo.
In un articolo del New York Times degli anni Ottanta si legge “Sonnabend ha un talento unico: rendere inevitabile ciò che prima era inconcepibile” e ancora, i curatori della Peggy Guggenheim Collection alla vigilia della grande mostra a lei dedicata nel 2011 Ileana Sonnabend: un ritratto italiano scrissero “Ileana Sonnabend non collezionava solo opere: costruiva mondi”.

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