Un flusso incessante, quello dell’esistenza, riempie le tele bianche, si sparge, muta il linguaggio ed i simboli sono forme nuove, astratte.
Vasilij Kandinsky, nato a Mosca nel 1866, brillante studente, avviato alla carriera universitaria, lascia tutto per seguire la direzione della sua grande passione, l’arte. L’evento decisivo fu la Mostra degli impressionisti francesi nella capitale russa del 1896. Osservando i Covoni di Monet, “la pittura si mostrò davanti a me in tutta la sua fantasia e in tutto il suo incanto” dirà in seguito l’artista.
Inizia così il suo percorso nell’arte. “Kandinsky è stato il primo artista a tracciare un coerente cammino verso l’astrazione, verso un’arte non basata più sulla rappresentazione della realtà, ma che invece eleva il dipinto, costruito secondo le proprie leggi, a oggetto dell’espressione”, scrive M.M. Moeller.
Le sue opere sono espressioni delle necessità interiori, sono colore dove il colore è “un mezzo per influenzare direttamente l’anima. Il colore è il tasto. L’occhio è il martelletto. L’anima è un pianoforte con molte corde. L’artista è la mano che, toccando questo o quel tasto, fa vibrare l’anima”.
Arte e musica, visione e interiorità si intrecciano, si inseguono, variano. “Le variazioni di Kandinsky sono armoniche e ritmiche più che melodiche e suoi quadri sono portati per la maggior parte a un suono fondamentale di azzurro, rosso, giallo in diverse gradazioni e sfumature”, commentò Will Grohmann, storico dell’arte che aveva saputo cogliere il vero senso delle opere del grande pittore e poeta russo.
Archi, ovali, macchie, linee, composizioni, improvvisazioni, variazioni. Blu di cielo.