Visioni d'insieme

Tra i vicoli di Napoli, Bansky

Tra i vicoli di Napoli, Bansky

Le mani aperte, i palmi rivolti verso l’alto ad accogliere la luce divina, lo sguardo in cerca di un Dio che sappia perdonare e proteggere.

Il velo sulle spalle sollevato dal vento e sul capo un revolver.

I santi sono anche tra coloro che in quei vicoli hanno un’arma in mano, sono tra coloro che il Dio che Bansky invoca ha dimenticato di proteggere da un presente che non offre via di scampo. 

Le vesti della Madonna si muovono al vento, nulla è fermo a Napoli, città dove eternamente è tutto in fermento. I vicoli stretti, i turisti che l’affollano sino a farle mancare il respiro, il centro spopolato dal popolo, ora set cinematografico per il folkloristico gusto di viaggiatori senza sosta. 

E nella fretta, nel chiasso, nel troppo di tutto c’è ancora chi indugia. Come fosse voluta dall’artista, la teca che a posteriori è stata posta sullo stencil per proteggerlo, riflette i palazzi di piazza dei Girolamini, una Napoli che porta avanti il calore e il dolore ad ogni passo.

L’intonaco cade, graffi su un muro che non conosce la cura, il nero netto e assoluto lascia il passo ai grigi. Ma il bianco, la luce, sono assoluti come il cielo di Napoli.

Bansky non spiega le sue opere, ognuno le legge come sente. E di una Napoli che arranca, resta vivo in ogni vicolo chi resiste. E te lo sbatte in faccia  come un sonoro schiaffo a mano aperta. Dolore e calore. Gioia e degrado. Bellezza e violenza. L’innocenza ormai persa e la speranza. 

Tutto ciò che ha perduto è lì in quelle mani rivolte al cielo, che ancora credono nella possibilità di un futuro migliore. Nonostante Napoli. Per Napoli.

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