Potresti aver dimenticato la carta di Amalfi nel cassetto della vecchia scrivania in mogano e la stilografica sotto un elenco di titoli vari
con le loro copertine logore e consunte dall’uso e dal maneggiare seppure con cura. Ed ora che ti mancano gli strumenti per riprendere il tuo rapporto epistolare te ne stai perso a contemplare un campo di ceci. Non puoi andare oltre la linea che delimita la campagna, il mare è a pochi chilometri ne senti l’odore ma non puoi vederlo e allora ti soffermi su quella distesa giallo-marrone. Domani arriveranno i mezzi meccanici per la raccolta e una coltre di polvere si solleverà oscurando la tua finestra. Non piove da troppo tempo e la terra è secca e assetata.
L’ultima lettera che hai scritto un fiume di parole, un prendere posizione su tanti discorsi nei quali eri restato muto ad ascoltare. Avevi riversato su quel foglio tutte le voci che avevi respinto in fondo al tuo stomaco, alle quali avevi sottratto aria e chiuso la cassa di risonanza. Una lunga missiva che non ha ancora ricevuto risposta, e sono passati ormai più di sei mesi. Ti imponi di aspettare guardando fuori dalla finestra, pensi che ognuno ha un suo tempo per reagire, metabolizzare, crescere, decidere, proprio come i ceci rinchiusi nel loro baccello ormai pronti ad uscire.
Tornare indietro è un’ipotesi che non prendi in considerazione, deciso come sei ad aspettare una mossa, un segno. E se il destinatario non volesse più rispondere? L’interrogativo si insinua nella tua mente. Elabori una risposta. Attendere e se nulla dovesse accadere, pazienza.