Restare in silenzio, osservare da lontano l’orizzonte irraggiungibile, spostare la linea di confine più in là, oltre il visibile, nell’universo.
Restare soli in un qualunque posto del mondo, in una camera affollata di libri, su una spiaggia discarica di inverno, plastica restituita alla terra, all’uomo. Solitudine conquistata a piccoli passi. “Non ho mai amato la solitudine. Ma se stare in mezzo alle persone significa convivere con la falsità preferisco vivere per conto mio”, scriveva Alda Merini. Per conto mio, lontano dalla confusione, dal frastuono, dalle chiacchiere inutili. Nell’immensità dell’universo nessuna solitudine è piccola, lo sapeva bene Ghiannis Ritsos “In un angolo del cortile, tra la schiuma di sapone, alcune rose si sono piegate sotto il peso del loro profumo. Nessuno ha sentito l’odore di queste rose. Nessuna solitudine è piccola”.
Nello spazio infinito, sotto un cielo stellato, nel rettangolo di un letto vuoto, sotto un soffitto bianco, per conto mio, con me, solo me. “Ho le braccia dolenti e illanguidite per un’insulsa brama di avvinghiare qualche cosa di vivo, che io senta più piccolo di me. Vorrei rapire d’un balzo e poi portarmi via, correndo, un mio fardello, quando si fa sera; avventarmi nel buio per difenderlo, come si lancia il mare sugli scogli; lottar per lui, finché non rimanesse un brivido di vita; poi, cadere nella più fonda notte, sulla strada, sotto un tumido cielo inargentato di luna e di betulle; ripiegarmi su quella vita che mi stringo al petto – e addormentarla – e anch’io dormire, infine … No: sono sola. Sola mi rannicchio sopra il mio magro corpo. Non m’accorgo che, invece di una fronte indolenzita, io sto baciando come una demente la pelle tesa delle mie ginocchia”, scriveva la poetessa Antonia Pozzi.
Solitudine per ritrovare il senso della socialità, della comunità, per ritrovare l’altro. Solitudine per una moltitudine.