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Mario Perrotta al Piccolo Festival della Parola, il coraggio delle proprie idee

Mario Perrotta al Piccolo Festival della Parola, il coraggio delle proprie idee

Scende la sera nell’anfiteatro comunale di Noci, un vento freddo, bizzarro settembre, fa tremare le ossa e irrigidire muscoli.

Scene essenziali sul palcoscenico, un piccolo leggio, luce su di lui, Mario Perrotta, voce potente che sa prendere l’anima di chi ascolta. Al Piccolo Festival della Parola di Noci le parole di Mario Perrotta coprono le distanze e assumono il loro significato, perché per lui “le parole sono sempre importanti, soprattutto in questo periodo in cui vengono usate con violenza. Le parole sono l'espressione migliore dell’essere umano che lo differenziano dagli animali. Quando le usi con violenza ti riavvicini all' animale. Per questo sono importanti se usate in maniera umana”. Ti ha già rapito Perrotta con la semplicità di chi sa e ha vissuto, di chi non ha assistito da spettatore inconsapevole al teatro della vita. Dialoga prima di salire sul palco. Quando ha scritto Emigranti Esprèss Perrotta lo ha fatto per “Ricordarci chi eravamo, proprio perché tornando a casa mia sentivo dire ai leccesi ‘è tutta colpa degli albanesi’ come se prima il Salento e la Puglia fossero l’Eden. Io sono andato via nell’ottantotto per studiare all’università. E non ci furono molti cambiamenti dopo il crollo della dittatura in Albania.  Ci fu solo qualche sostituzione di manovalanza nella delinquenza. Ma i capi della delinquenza sono rimasti sempre gli stessi e i problemi c’erano già. Feci questi spettacoli per dirci ‘guardate che abbiamo vissuto le stesse storie, siamo partiti con le stesse istanze di chi oggi arriva qui’. Un ragazzo tunisino durante una intervista (un ragazzo regolare, con permesso di soggiorno con i figli che frequentavano la scuola) quando gli chiesi come mai gli ex emigranti italiani sono i peggiori razzisti nei suoi confronti, mi diede una risposta fulminante ‘uno schiavo quando avrà la libertà cercherà sempre di schiavizzare qualcun altro’. E si riferiva alla schiavitù che abbiamo in testa. Noi siamo un popolo di emigrati ed emigranti che tornati sono rimasti schiavi della loro storia e del rapporto con il potere. Ancora oggi so che in questa regione e in altre regioni del sud si comprano voti con 50 euro. Questo significa essere schiavi. Se uno ti compra con 50 euro ti fotterà per 5 anni”.

Nitida e disarmante analisi di ciò che siamo. Ogni parola scritta da Perrotta è il frutto di studi e disamina degli avvenimenti e della natura umana. 

Oggi ha ancora un senso parlare di migrazioni. “Dalle regioni del sud si è tornati di nuovo a partire. A volte come emigranti di lusso, cervelli in fuga, laureati che vanno via, a volte come ragazzi che cercano un lavoro anche manuale ma dignitoso all’estero. Questo è il segno di un gap forte che esiste ancora tra nord e sud del paese, e anche al nord c’è l’esigenza di andare via perché mentre ci sono proclami roboanti sul l’invasione degli extracomunitari (che sono sempre poche migliaia di persone che arrivano) non si pensa alle cose concrete, all’economia, alla dignità del lavoro”.

Ha coraggio Perrotta nelle sue parole, “il coraggio delle proprie idee e dovremmo averlo tutti perché va cambiata la logica  del  ‘sì sì, prima loro, cominciassero loro, cominciassero i politici, gli assessori’. Sempre gli altri, mai noi. No. Cominciamo noi, comincio io, dico quello che penso, mi confronto con chi ha altre idee, uso  le parole per confrontarmi e non la violenza. Cominciamo noi altrimenti è sempre colpa di qualcun altro e questa è una cosa  che in Italia mi fa disperare. Dispero che cambino le cose perché gli italiani sono così ‘ sono sempre gli altri e mai io in prima linea’. Invece no, io sono in prima linea, poi vediamo cosa accade”.

Al Festival Perrotta porta tre delle storie tratte da Emigranti Esprèss, fortunata trasmissione radiofonica, viaggio su un treno che parte da Lecce, è il 1980, che attraversa l’Italia e la Svizzera e arriva in Germania. Tre storie.  La partenza è il viaggio di un bambino affidato a ‘chi ha cuore’ che osserva e ascolta il racconto di chi quel treno lo prende per necessità per cambiare il proprio destino di fame e di stenti. Milano la sua stazione e le sale di attesa, quella per migranti, bagagli logori e panchine per passare la notte e quella per persone normali, e mancati incontri tra innamorati. La frontiera, uomini e donne nudi umiliati per una visita, medica, che dia abilità al lavoro. Perrotta rapisce, commuove,  fa riflettere ed anche sorridere. Il cuore delle migrazioni è sezionato con spietata verità e non si può rimanere indifferenti, le lacrime possono solcare i volti anche per la felicità di sentire ciò che si è sempre pensato.

A Noci accade che la parola ha un senso nuovo che è riscatto, è comprensione che gli slogan, quelli, non portano a niente. 

È ora di alzarsi in piedi ed applaudire. Da oggi saremo tutti in prima linea.

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