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Festa della liberazione, resistenza delle parole

Festa della liberazione, resistenza delle parole

Festa nazionale, festa della liberazione, settantotto anni di festeggiamenti, celebrazioni, manifestazioni. Festa per ricordare la Resistenza.

Per ricordare la storia di piccoli gesti come scriveva Italo Calvino nella sua 25 aprile, “Forse non farò/ cose importanti,/ ma la storia/ è fatta di piccoli gesti anonimi,/ forse domani morirò,/ magari prima/ di quel tedesco,/ ma tutte le cose che farò/ prima di morire/ e la mia morte stessa/ saranno pezzetti di storia,/ e tutti i pensieri/ che sto facendo adesso/ influiscono/ sulla mia storia di domani,/ sulla storia di domani/ del genere umano”.

In 25 aprile 1945 è Pietro Calamandrei a celebrare il sacrificio, “Lo avrai/ camerata Kesselring/ il monumento che pretendi da noi italiani/ ma con che pietra si costruirà/ a deciderlo tocca a noi./ Non coi sassi affumicati/ dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio/ non colla terra dei cimiteri/ dove i nostri compagni giovinetti/ riposano in serenità/ non colla neve inviolata delle montagne/ che per due inverni ti sfidarono/ non colla primavera di queste valli/ che ti videro fuggire./ Ma soltanto col silenzio del torturati./ Più duro d’ogni macigno/ soltanto con la roccia di questo patto/ giurato fra uomini liberi/ che volontari si adunarono/per dignità e non per odio/ decisi a riscattare/ la vergogna e il terrore del mondo./ Su queste strade se vorrai tornare/ ai nostri posti ci ritroverai/ morti e vivi collo stesso impegno/ popolo serrato intorno al monumento/ che si chiama/ora e sempre/ RESISTENZA”.

Ermetico Giuseppe Ungaretti ricorda “Qui/ vivono per sempre/ gli occhi che furono chiusi alla luce/ perché tutti/ li avessero aperti/ per sempre/ alla luce”.

E poi Pier Paolo Pasolini sulla luce ancora, sul sacrificio, sulle speranze “Così giunsi ai giorni della Resistenza/ senza saperne nulla se non lo stile:/ fu stile tutta luce, memorabile coscienza/ di sole. Non poté mai sfiorire,/ neanche per un istante, neanche quando/ l’Europa tremò nella più morta vigilia./ Fuggimmo con le masserizie  su un carro/ da Casarsa a un villaggio perduto/ tra rogge e viti: ed era pura luce./ Mio fratello partì, in un mattino muto/ di marzo, su un treno, clandestino,/ la pistola in un libro: ed era pura luce./ Visse a lungo sui monti, che albeggiavano/ quasi paradisiaci nel tetro azzurrino/ del piano friulano: ed era pura luce./ Nella soffitta del casolare mia madre/ guardava sempre perdutamente quei monti,/ già conscia del destino: ed era pura luce./ Coi pochi contadini intorno/ vivevo una gloriosa vita di perseguitato/ dagli atroci editti: ed era pura luce./ Venne il giorno della morte/ e della libertà,/ il mondo martoriato/ si riconobbe nuovo nella luce …. / Quella luce era speranza di giustizia:/ non sapevo quale: la Giustizia./ La luce è sempre uguale ad altra luce./ Poi variò: da luce diventò incerta alba,/ un’alba che cresceva, si allargava/ sopra i campi friulani, sulle rogge./ Illuminava i braccianti che lottavano./ Così l’alba nascente fu una luce/ fuori dall’eternità dello stile …/ Nella storia la giustizia fu coscienza/ d’una umana divisione di ricchezza,/ e la speranza ebbe nuova luce”.

Le parole non temono, non hanno paura, sono ferme nella loro denuncia, sopravvivono ad ogni tentativo di metterle a tacere. Resistenza.

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