Visioni d'insieme

Quando Italo scrive

Quando Italo scrive

Se scrive dà forma a se stesso. All’ironia, all’acutezza, all’amore per il gioco con cui allenare la sua mente. 

Le parole sono il suo strumento da sempre e per sempre, anche nelle lettere che negli anni ha scritto ad amiche e colleghi. Nel dicembre del 1967 mentre era a Parigi, Italo Calvino scrive ad Anna Maria Ortese. La chiama cara, pur appellandola solo per cognome “guardare il cielo stellato per consolarci delle brutture terrestri? Ma non le sembra una soluzione troppo comoda?… Non Le pare di «strumentalizzarlo» malamente, questo cielo? di farlo complice della nostra tendenza egoistica ad accettare le situazioni peggiori pur di conservarci l'animo in pace? Anche questo sarebbe fare del cielo un prolungamento della terra e dei suoi mali”.

“Chi ama la luna davvero non si contenta di contemplarla come un'immagine convenzionale, vuole entrare in un rapporto più stretto con lei, vuole vedere di più nella luna, vuole che la luna dica di più. Il più grande scrittore della letteratura italiana d'ogni secolo, Galileo, appena si mette a parlare della luna innalza la sua prosa a un grado di precisione ed evidenza e insieme di rarefazione lirica prodigiose. E la lingua di Galileo fu uno dei modelli per la lingua di Leopardi, gran poeta lunare…”. Il cielo, i corpi celesti e la luna spesso richiamati da Ortese sono al centro di questa lunga lettera che è un pensare tra se e se “Chi ama la luna davvero non si contenta di contemplarla come un'immagine convenzionale, vuole entrare in un rapporto più stretto con lei, vuole vedere di più nella luna, vuole che la luna dica di più. Il più grande scrittore della letteratura italiana d'ogni secolo, Galileo, appena si mette a parlare della luna innalza la sua prosa a un grado di precisione ed evidenza e insieme di rarefazione lirica prodigiose. E la lingua di Galileo fu uno dei modelli per la lingua di Leopardi, gran poeta lunare…”.

In una afosa giornata d’estate di una Torino nobile e industriale, il 28 luglio del 1953 Calvino scrive ad Elsa Morante, del suo Scialle andaluso “È un bel racconto, fondo e raccolto, con quella luce notturna e appena fantastica e quell'infatuazione eroico-infantile che è la sua chiave di volta ed è un motivo molto tuo”. 

Poche righe, un concentrato di quelle parole calviniane che sono un gioco e al tempo stesso una attenta riflessione, fonda e raccolta.

Scrive a Cesare Pavese il 27 luglio 1949 da Sanremo riservando quasi solo critiche al suo Fra sole donne, “è un romanzo che ho deciso subito che non mi sarebbe piaciuto. Sono ancora di tale opinione, sebbene l’abbia letto con grande interesse e divertimento” e molti altri dettagli di un’analisi poco lusinghiera. “Ciononostante, se passate qualche giorno al mare non ti disgusta, sei ufficialmente invitato a casa mia…ti farò conoscere il mio mondo poetico allo stato brado” e conclude la disanima con l’ironia che sempre lo ha contraddistinto “saluti cari al nataliame, al balbiame, fonziame, scasellame ecc”, riferendosi ai colleghi in Einaudi Natalia Ginzburg, Felice Balbo, Bruno Fonzi e Ubaldo Scassellati,  parodiando l’allora ministro dell’Interno, Mario Scelba che aveva definito gli intellettuali di sinistra “culturame” al Congresso della Dc del 6 giugno di quell’anno.

Scrive molto a quasi tutti, franco e cristallino come sempre. Anche a Michelangelo Antonioni a fine settembre del 1965 che gli aveva chiesto di collaborare alla realizzazione di Blow Up, ma a quel tempo Calvino era impegnato con la stesura delle Cosmicomiche e declina l’offerta “sarebbe bellissimo…ma non in un momento in cui sono immerso in un lavoro d'invenzione molto diverso (una serie di racconti che rappresentano un esperimento nuovo e richiedono una concentrazione in una certa logica)”. Gli suggerisce di chiamare Julio Cortázar, autore del racconto Le bave del diavolo a cui si era ispirato Antonioni per il suo film “potrebbe dare al film (se accetta che sia diverso dal racconto) quella tensione di mistero che lui sente, quella tragicità che lui sa comunicare alle cose quotidiane”.

Quando ci si parlava, francamente.

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