Visioni d'insieme

Otranto e L’approdo, opera all’umanità migrante

Otranto e L’approdo, opera all’umanità migrante

È un venerdì santo come tanti, con la via crucis, la madonna piangente di nero vestita e il Cristo in croce o deposto in un feretro in vetro.

Sono stati i miei peccati, Gesù mio, perdono pietà”, cantano le donne in processione. In altre città altri riti, altri atti di devozione.

È un venerdì santo come tanti, il 28 marzo del 1997. Dall’Albania migliaia di persone cercano di raggiungere le coste pugliesi, l’Italia, la libertà. Improbabili pescherecci, imbarcazioni di fortuna, cariche di umani, solcano l’Adriatico sognando un porto sicuro dove approdare.

È un venerdì santo, la Katër i Radës, lascia il porto di Valona con il suo carico di disperati in fuga dai disordini e dall’anarchia, direzione Italia. Una nuova ondata, si teme, come quella dei primi anni Novanta, quando la Puglia si contraddistinse per solidarietà ed accoglienza.

La Katër i Radës lascia alla sua poppa l’isola di Saseno, la prua dritta verso la sponda opposta, la Puglia. Ma il mare Adriatico è presidiato, la Marina Militare Italiana pattuglia le acque per dissuadere nuovi sbarchi. Speronamento, collisione, tra la piccola imbarcazione albanese e la corvetta Sibilla. Colare a picco è inevitabile, uomini in mare, mentre il blu profondo ti tira giù, nasconde la terra ferma. I cadaveri affiorano, famiglie affogate, dispersi, pochi superstiti tratti in salvo con la morte negli occhi, nel cuore, abisso nero.

È un venerdì santo al quale non segue una resurrezione. Sgomento, raccapriccio, “Sono stati i miei peccati, Gesù mio, perdono pietà”, non c’è spazio per un “Alleluia Risuscitò”.

Il mare inghiotte rapidamente, poco più di 15 minuti, sogni speranze, urla e lacrime tutto scompare nel blu profondo che è nero come la veste di Maria a cui hanno ucciso il figlio.

Katër i Radës rivedrà la luce, risalendo gli 800 metri di profondità, dal fondo del mare Adriatico per trovare pace su una piattaforma in cemento sulla banchina del porto di Otranto. È il 2012. “L’approdo. Opera all’Umanità Migrante”, è l’opera di Costas Varotsos sul relitto. Le lastre di vetro dell’artista greco squarciano il distrutto ricostruendo una ferita che ancora sanguina, che ancora aspetta una improbabile cicatrizzazione. Fermarsi ad ascoltare è un privilegio che in molti non desiderano avere.

L’approdo è il sogno di un porto sicuro.

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