Interrompere, scardinare, fermare, come se fosse semplice poi ricominciare. In un posto fuori dalle linee rette tutto sembrerebbe normale.
Qui su questo molo, in una sera che attende la festa, la realizzazione dei sogni è affidata alla magia del luogo, il teatro sull’acqua e un palazzo moderno, competizione inesistente. Il teatro specchiandosi riconosce se stesso, l’altro rimane un freddo parallelepipedo di cemento. Qui dove i piccoli gozzi sembrano immobili, sospesi su una parete d’acqua, i peci cercano facile cibo, resti di altrui pranzi.
Interrompere il flusso di suoni fastidiosi che giungono dalle strade trafficate è come isolarsi, calarsi sul fondo in uno scafandro, toccare con i piedi la roccia e attendere di tornare su, riemergere dalle acque quando nella notte tutto tace.
Il teatro silenzioso osserva con cauto ottimismo le diversità che lo circondano, indugia nel conversare con un gabbiano che ha scelto di sostare e riposare accanto ad una delle sue finestre. Il gabbiano, bianco come neve, racconta terre lontane che il vecchio teatro conosce già, ricordi delle interpretazioni sul suo palcoscenico.
Sei solo un vecchio contenitore, sentenzia d’un tratto il volatile, fermo qui e immobile non conosci niente oltre questo spazio che ti circonda. Già, risponde il teatro Margherita, peccato che a te io non riservi la conoscenza del mio contenuto.
Lapidario, esaustivo, interrompe le chiacchiere torna alla sua elegante bellezza, il riflesso nel mare dona un tratto di sofisticata sapienza. Su questo molo il sogno è che domani sia diverso da ieri, da oggi.