Visioni d'insieme

Nel nome di Dolci e Calamandrei

Nel nome di Dolci e Calamandrei

Ha sognato ad occhi aperti di sconfiggere ogni ingiustizia e sognando la sua battaglia contro tutti i mali, ha fatto crescere questo mondo.

“C'è pure chi educa, senza nascondere l'assurdo ch'è nel mondo, aperto ad ogni sviluppo ma cercando d'essere franco all'altro come a sé, sognando gli altri come ora non sono: ciascuno cresce solo se sognato” scrive nel suo Poema umano Danilo Dolci nel 1974. Lui che ha insegnato a un Paese intero a sognare e combattere e far crescere una intera comunità.

Nasce a Sesana, da un ferroviere agnostico, Enrico e da una fervida credente slovena, Meli Kontelj. Cresce ascoltando Bach e leggendo Tolstoj, Seneca e Voltaire. Lì tra quei libri, nel suo mondo, si forma il suo pensiero. Il pensiero del Gandhi italiano, così come venne chiamato per tutta la vita. Un pacifista che ha fatto dell’esempio e della lotta non violenta il respiro di una intera vita. Traccia subito dentro di sé la linea che divide giusto e sbagliato, e con quella legge morale dentro di lui a 19 anni compie il suo primo atto di ribellione ad un potere che non condivide e che considera ingiusto, rifiutandosi di indossare l’uniforme della repubblica sociale italiana. Verrà per questo arrestato. Prima di innumerevoli volte.

“Il nome che mi chiama non è il mio nessun nome è mio. Questo corpo che presto è sazio e logoro e teme il dolore e si piega e si aggruma stordito non è il mio. Non sono nato ancora. Sto per nascere sempre – e morirò” scrive lui, poeta per caso che rinascerà nella povera e dimenticata Sicilia degli anni Cinquanta. Sceglie Partinico, paese di marinai e banditi. Rimane colpito da una umanità che non si vuole arrendere alle barbarie.

“Milioni di uomini nelle nostre zone stanno sei mesi all’anno con le mani in mano. Stare sei mesi all'anno con le mani in mano è gravissimo reato contro la nostra famiglia contro la società. Solo qui in Partinico su 25mila abitanti siamo in più di 7mila con le mani in mano per sei mesi all’anno e 7mila bambini e giovanetti non sono in grado di apprendere quanto assolutamente dovrebbero. Non vogliamo essere dei lazzaroni, non vogliamo arrangiarci da banditi: vogliamo collaborare esattamente alla vita, vogliamo il bene di tutti: e nessuno ci dica che questo è un reato. È nostro dovere di padri e di cittadini collaborare generosamente perché cambi il volto della terra, bandendo gli assassini di ogni genere. Chiediamo alle autorità, di collaborare con noi, indicando quali opere dobbiamo fare e come: altrimenti, assistiti dai tecnici, cominceremo dalle più urgenti. Perché sia più limpido a tutti il nostro muoverci, digiuneremo lunedì 30 gennaio; giovedì 2 febbraio cominceremo il lavoro. Frangeremo il pane con le mani. Vogliamo essere padri e madri anche noi e cittadini” scrivono all’unisono 700 siciliani.

La Sicilia è povera, ma non perduta. Dolci lo sa e a chi liquida quei siciliani come banditi risponde “Nella zona del peggior banditismo siciliano (Partinico, Trappeto, Montelepre, 33mila abitanti) dei 350 fuorilegge solo uno ha entrambi i genitori che abbiano frequentato la IV classe elementare. A un totale di 650 anni di scuola corrispondono 3mila anni di carcere”. Invoca istruzione e lavoro, non manganellate e carcere. 

La sua forma di protesta è il digiuno. Il 27 novembre chiede al Governo italiano la costruzione di una diga per raccogliere le acque invernali del fiume Jato, garantendo così nutrimento alla terra arida d’estate e lavoro per i contadini. Cresce l’idea di uno sciopero alla rovescia. Lì dove il lavoro manca, saranno i disoccupati a lavorare gratuitamente per il bene comune.

A Milano, Roma, Torino, si parla di Dolci e della sua protesta sostenuta tra gli altri da Norberto Bobbio, Giulio Einaudi, Carlo Levi, Cesare Zavattini, Aldo Capitini, Elio Vittorini, Ignazio Silone. Furio Colombo viene licenziato dalla Rai per aver ospitato nella sua trasmissione, Orizzonti, Dolci che annunciava la sua pacifica protesta. 

Il 30 gennaio 1956 un nuovo sciopero della fame, questa volta non sarà solo, saranno in mille a digiunare contro la pesca di frodo dei grandi pescherecci nelle mani della mafia che arrivando sotto costa impedivano ai pescatori locali di sopravvivere. I mille si radunarono sulla spiaggia di San Cataldo di Trappeto e decisero semplicemente di non mangiare più. Furono fatti sfollare dalla polizia e arrestati. 

Lo sciopero alla rovescia è pronto “Ci metteremo a riparare gratuitamente la trazzera, la nostra trazzera. Ci redimeremo, lavorando da questo avvilimento quotidiano, da questa quotidiana istigazione al delitto che è l'ozio forzato. In grazia del nostro lavoro la strada tornerà ad essere praticabile. I cittadini ci passeranno meglio. Il sindaco ci ringrazierà”. Si radunano per ricostruire una strada impraticabile che isola paesi e persone.

Ma dopo meno di un’ora dall’inizio della protesta una carica della polizia disperde i manifestanti e arresta Dolci e i sindacalisti Carlo Zanini, Salvatore Termini, Ignazio Speciale, Francesco Abbate. Tra loro anche un giovanissimo Goffredo Fofi che dopo due notti in carcere all’Ucciardone viene rimandato a casa perché minorenne. Gli altri resteranno in carcere per due mesi, l’autorità giudiziaria nega al pacifista Dolci la libertà vigilata definendolo “individuo con spiccata capacità a delinquere”.

Era la Sicilia in cui tutto è mafia, anche chi e cosa sono nati per combatterla. La Sicilia del cardinale Ernesto Ruffini che dieci anni dopo, nella sua pastorale “Il Vero volto della Sicilia” individuò e mise nero su bianco i tre mali dell’isola: la mafia, generica e vaporosa entità da richiamare all’occorrenza, il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa e Danilo Dolci. 

L’Italia, e non solo si mobilita per lui. Il suo collegio di difesa sarà guidato dal futuro Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, dal padre costituente Piero Calamandrei e da un giovane avvocato palermitano Nino Sorgi.

“Quello che conta è un'altra cosa: conoscere il perché umano e sociale di questo processo, collocarlo nel nostro tempo; vederlo, come tu ben dicevi, o amico Sorgi, storicamente, in questo periodo di vita sociale e in questo paese” chiosa Calamandrei contro un’accusa che chiedeva otto mesi di reclusione e che nel tentativo di sminuire Dolci e la sua protesta al rango di un atto da delinquenti comuni definì l’accaduto una “comunissima vicenda giudiziaria”. Non era così. C’era un popolo che chiedeva al suo Governo di applicare la Costituzione che si era data. Chiedeva lavoro e pari opportunità. Chiedeva di poter vivere come i padri costituenti avevano immaginato il futuro dei loro concittadini.
“Vorrei, signori Giudici, che voi sentiste con quale ansia migliaia di persone in tutta Italia attendono che voi decidiate con giustizia, che vuol dire anche con indipendenza e con coraggio questa causa eccezionale: e che la vostra sia una sentenza che apra il cuore della speranza, non una sentenza che ribadisca la disperazione” disse Calamandrei nella sua arringa finale. Ad attendere non era solo l’Italia ma il mondo intero, ovunque si moltiplicarono come i pani che in Sicilia mancavano, le lettere di supporto a Dolci e alla sua causa: Jean Paul Sartre, Aldous Huxley, Eric Fromm, Jean Piaget, Bertrand Russell, Ernst Bloch.

In quel capolavoro di filosofia, poesia e legge che è stata l’arringa di Calamandrei risuonano ancora oggi questioni che da allora sono vive e dibattute “…e qui affiora il secondo sul quale io mi trovo in dissidio con le premesse affermate dal P.M.:, quando egli ha detto che i giudici non devono tener conto delle ‘correnti di pensiero’, che i testimoni accorsi da tutta Italia hanno fatto passare in questa aula. Ma che cosa sono le leggi , illustre rappresentante del P.M. se non esse stesse ‘correnti di pensiero’? Se non fossero questo, non sarebbero che carta morta: se lo lascio andare, questo libro dei codici che ho in mano, cade sul banco come un peso inerte. E invece le leggi sono vive perché dentro queste formule bisogna far circolare il pensiero del nostro tempo, lasciarvi entrare l'aria che respiriamo, mettervi dentro i nostri propositi, le nostre speranze, il nostro sangue e il nostro pianto.

Altrimenti le leggi non restano che formule vuote, pregevoli giochi da legulei; affinché diventino sante, vanno riempite con la nostra volontà”.

Calamandrei non arretra di un solo passo davanti ad uno Stato che vuole insabbiare il movimento civile sul nascere, che vuole relegare i suoi cittadini a poveri e derelitti da usare come marionette. A sostenere le spese di quello e di tutti gli altri processi a venire, furono in tanti, da Renato Guttuso ad Alberto Moravia, da Pier Paolo Pasolini sino alla poetessa Cristina Campo che chiamò a rapporto tutti i suoi amici per aiutare Dolci, nei suoi processi e nelle sue attività a favore dei bambini di Trappeto.

In gioco non c’è solo una comunità di contadini e pescatori, ma il futuro di una intera nazione “La nostra Costituzione è piena di queste grandi parole preannunziatrici del futuro… Grandi promesse che penetrano nei cuori e li allargano, e che una volta intese non si possono più ritirare. Come potete voi pensare che i derelitti che hanno avuto queste promesse, e che vi hanno creduto e che chi si sono attaccati come naufraghi alla tavola di salvezza, possono ora essere condannati come delinquenti solo perché chiedono, civilmente senza far male nessuno, che queste promesse siano adempiute come la legge comanda?” tuona Calamandrei.

No, non era una “comunissima vicenda giudiziaria”, non bastarono le vuote parole dell’accusa per sminuire la grandezza di “un popolo in transito verso l’umanità” come sognava Adorno.

“Il carattere singolare ed esemplare di Danilo Dolci e proprio qui: di questo uomo di cultura, che per manifestare la sua solidarietà ai poveri non si è accontentato della parola parlata o scritta, dei comizi, degli ordini del giorno e dei messaggi; ma ha voluto vivere la loro vita, soffrire la loro fame, dividere il loro giaciglio, scende nella loro forzata abiezione per aiutarli a ritrovare e a reclamare la loro dignità e la loro redenzione”, Calamandrei conosce bene Dolci e la forza del suo pacifismo ostinato, della sua disobbedienza civile, di cui gli rese atto anche Italo Calvino.

Non era un manipolo di persone che rattoppavano una strada il problema, ma la ribellione a un ordine precostituito, a tutto ciò che in Sicilia era immanente.

“Questo non è il processo di Danilo Dolci. Su quella panca degli imputati non c'è lui; altre colpe, altre incurie, altre crudeltà, altri delitti siedono su quella panca: tutti li conosciamo anche voi li conoscete”.

Sapeva tutto Dolci, conosceva bene il sistema contro cui si era imbattuto. Ma il suo rigore morale non gli ha mai permesso di cedere, di fermarsi, di arretrare. “La coscienza che nella vita ciascuno è – può, deve essere – ostia agli altri. Mangiare è un dramma: cosmico. Accetto di mangiare per poter farmi mangiare” scrisse lui stesso nella prefazione ad un suo libro di poesie.

Anche in un Paese credente sino ad essere ateo, si sentiva l’odore di santità di un uomo buono. “Si, i santi sono noiosi: e in generale, anche senza disturbare santi, è certo che in questa società compressa da una crosta di accomodante scetticismo sono noiosi in generale gli uomini onesti, gli uomini che prendono le cose sul serio. Per chi sta bene e ha la vita facile, sono insopportabili questi importuni che ricordano col loro esempio, fastidioso come un rimprovero vivente, che nel mondo esiste la onestà e la dignità” continua accalorato Calamandrei che a quel futuro, a quell’uomo e a quei valori aveva consegnato la sua intera esistenza.

Il processo finisce e democristianamente la corte decide di infliggere a Danilo Dolci 50 giorni di reclusione. Al più grande pacifista italiano gli vengono riconosciuti “moventi di particolare valore morale”, al sistema che lo aveva portato in carcere, il non aver perso.

Fu l’ultima arringa del padre costituente. Pochi mesi dopo morì, ma la forza delle sue ultime parole in quell’aula di tribunale sono ancora vive “Vedete, in quest’aula, in questo momento, non ci sono più giudici e avvocati, imputati e agenti di polizia: ci sono soltanto italiani: uomini di questo Paese che finalmente è riuscito ad avere una Costituzione che promette libertà e giustizia. Aiutateci, signori Giudici, colla vostra sentenza, aiutate i morti che si sono sacrificati e aiutate i vivi, a difendere questa Costituzione che vuol dare a tutti i cittadini del nostro Paese pari giustizia è pari dignità!”.

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