Una fragranza intensa pervade l’aria, è il momento in cui la superficie diviene dorata e i vari ingredienti con il calore sprigionano il loro odore.
Preparare una focaccia è semplice. Basta unire farina, patate lesse, olio, acqua e lievito. Il segreto è tutto nel q.b. quanto basta, perché ognuno ha la sua ricetta, segreto da tramandare in famiglia e solo in linea retta. Non alla nuora né al genero, non al cognato né alla suocera, come diceva la nonna si rivela solo una parte, chi vuole imparare sta accanto in silenzio a guardare perché “miete più l’occhio che la falce”.
L’impasto si lascia lievitare per almeno un’ora in un posto caldo coperto con un canovaccio. Poi si stende con le mani in una teglia unta d’olio, sempre q.b., si decora con pomodorini e olive nella variante classica e si inforna. L’attesa è una guerra con lo scorrere lento del tempo e il crescente desiderio di affondare un morso nella succulenta preparazione.
La focaccia barese ha quel sapore identitario che sa di pietra, del forno, di distese di grano, di rossi pomidoro, di uliveti. E poi c’è l’origano e il sale, mare che bagna le sponde, Mediterraneo, dialogo. E la focaccia serve a questo a dialogare, tra un morso e un altro, bevanda in mano, parole da scambiarsi senza barriere. Focaccia barese, morbida dal bordo croccante, da consumare calda anche in estate. E se il forno in pietra non si ha si può ugualmente usare quello di casa, risultato quasi identico. Focaccia in compagnia, con le persone con cui si ama conversare anche se silenziose, anche se affetto da mutismo selettivo. Un pomodoro contro il palato, solletico sulle papille. Vorresti non finisse mai.