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Sanremo, spengo la tv

Sanremo, spengo la tv

Lungo, noioso, datato, vecchio, già visto. Nessuna novità, nessun vento nuovo. Stantio. Non un brivido di trasalimento. Niente. Piatto.

Eh sì questa edizione del Festival di Sanremo è sonnolenta e non è per l’assenza di pubblico e per l’emergenza Covid, ma per l’assenza di una idea originale.

E gli interpreti? Tutti dimessi, tutti imbalsamati. Manca il guizzo, un ritornello, un’emozione. Un’emozione da poco quella si che fu un’interpretazione che lasciò il segno! Anna Oxa strepitosa nel 1978,  “io non vedo più la realtà, non vedo più a che punto sta la netta differenza fra il più cieco amore e la più stupida pazienza”.

E poi diciamolo vuoi mettere le canzoni di oggi con la profondità dei testi del passato? Un esempio? Profondità e voilà L’immensità. “Sì, io lo so, tutta la vita sempre solo non sarò e un giorno io saprò d’essere un piccolo pensiero nella più grande immensità … di quel cielo”. Don Backy  e Johnny Dorelli sul palco nel 1967.

Perdere l’amore quando si fa sera, quando tra i capelli un po' d’argento li colora. Rischi di impazzire può scoppiarti il cuore perdere una donna e avere voglia di morire. Lasciami gridare, rinnegare il cielo, prendere a sassate tutti i sogni ancora in volo. Li farò cadere ad uno ad uno, spezzerò le ali del destino e ti avrò vicino”, cantava Massimo Ranieri al Festival del 1988.

Sarò vecchia io ma ridatemi un Festival di Sanremo che sia nuovo e se vecchio deve essere rivoglio i cartelli con i versi de L’uomo col megafono di Daniele Silvestri!

E no non possiamo accontentarci dei “quadri” di Achille Lauro. Dateci di più, dateci brio, e i calciatori lasciamoli pure sui verdi prati.

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