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Un'estate, come sempre, arrivarono a casa nostra con un carrello da traino dietro l'auto. Gli zii amavano stupirci e portavano a casa nostra
sempre novità. Quell'anno però c’era qualcosa di impensabile per noi: nel carrello una grande tenda da campeggio, una cucina, un mobiletto metallico su cui posizionarla, piatti, bicchieri, posate, utensili per la cucina, mastelle, materassini gonfiabili, tavolini e sedie pieghevoli e tutto ciò che poteva servire per il campeggio. La tenda aveva anche delle tendine da posizionare sulle porte finestre plastificate, e moquette plastificata da mettere nella veranda.
Partimmo, ormai tutti adolescenti, per la vacanza in campeggio. Arrivati a destinazione non trovammo posto, era agosto e a quei tempi le vacanze in tenda erano molto gettonate, per qualcuno unica forma di evasione e di viaggio. Rimanemmo molto delusi, avremmo dovuto spingerci più giù verso la Calabria, ma per noi la spiaggia era Ginosa. Zio notò la delusione nei nostri occhi e insieme decidemmo di trovare un’alternativa. Chiedemmo di posizionarci accanto ad un lido che ospitava camper e roulotte per poter usufruire di servizi igienici, docce e lavandini comuni. Dietro di noi il boschetto di pini, classico nelle zone sabbiose. Piazzammo la tenda direttamente sulla sabbia in modo da assicurarci di avere l’ombra durante le ore più calde. Avevamo il mare a una ventina di metri, per noi ragazzi era il massimo: mare vicino da vivere in pieno, niente più andata e ritorno, vivere in una casatenda.
Montammo la tenda tutti insieme seguendo lo schema e man mano che andavamo avanti eravamo felici e soddisfatti: una vacanza liberi nella natura. Ricordo ancora lì al mare, la nostra grande famiglia: ci si spostava in pineta per il pranzo che si concludeva con anguria in mastella con lastra di ghiaccio e tante bevande poi crostata di marmellata, caffè in termos preparato a casa e pisolino sulle sedie a sdraio degli adulti. Noi bambini giocavamo con grandi cartoni che portavamo con noi come base per i tavolini, per costruire una casa.
Dopo un paio di giorni gli zii ci lasciarono da soli e tornarono a casa mia. Io e mia cugina avevamo circa 17 anni, era il 1977, e avremmo badato agli altri. Prima di andare però zio definì i compiti per ognuno di noi: cucinare, sistemare e ordinare, lavare panni e stoviglie, procurarsi cibo e acqua, fare rifornimento di lastre di ghiaccio quotidianamente e la sistemazione nelle camere. Non ci dissero quando sarebbero tornati. Eravamo felici, non giocavamo più a costruire una capanna, ma era come tornare bambini. Per noi ragazzi era bellissimo stare da soli, anche se a volte si litigava, perché non si accettavano le regole imposte da chi era poco più grande. Quotidianamente ci sentivamo al telefono, utilizzando i gettoni, ma non ci dicevano mai quando sarebbero venuti. Approssimativamente venivano a trovarci ogni due o tre giorni. Era bello stare insieme, collaborare, scherzare, giocare. Passavamo le giornate al sole, nell'acqua, leggevamo libri, a volte ci addormentavamo con il suono delle cicale che all’aumentare del calore diventava più intenso. Spesso facevamo il bagno di sera o passeggiavamo sul bagnasciuga mentre la luna illuminava i nostri passi e riflettendosi nel mare faceva brillare la superficie dell'acqua, sembrava una scia che tracciava la via della nostra spensieratezza. Cantavamo le canzoni dei mitici anni '70. La cosa che più ci piaceva era che la sera sui vari lidi si poteva ballare. La discoteca per noi era un sogno. I miei cugini ci andavano a Reggio Emilia al turno pomeridiano ma noi a Bari tutt'al più, partecipavamo alle feste di compleanno con musica, dei nostri compagni di classe.
A sorpresa una domenica mattina presto, arrivarono gli zii e miei genitori con pasta al forno della nonna, cotolette, polpette fritte, anguria, frutta e un po’ di spesa che poteva essere conservata. I miei nel tardo pomeriggio, dopo aver giocato a scala quaranta, andarono via mentre mio zio decise di restare, per fortuna. L'indomani pomeriggio la natura ci fece un brutto scherzo. Faceva caldissimo quel giorno, il cielo però era coperto e pareva strano, un grigio insolito. Mio zio leggeva quotidiani, noi giocavamo a bocce, pian piano la sabbia cominciò a sollevarsi in turbine, sferzava la nostra pelle, era dentro i nostri abiti e tra i capelli. Il mare si gonfiò e divenne spumeggiante e poi impetuoso e nel cielo apparve un cono scuro che volteggiava vorticosamente su sé stesso, presagio di qualcosa di poco buono. Volò l'ombrellone, che fu afferrato con forza e richiuso, insieme alle sedie. Velocemente portammo tutto dentro la tenda. Mio zio capì subito che la tromba d'aria era quasi su di noi. Come un capitano comandò a noi ciurma di un ipotetico equipaggio di entrare in tenda, chiudere le cerniere e posizionarci ognuno ai paletti che erano lungo i confini della tenda e reggerli con tutta la nostra forza. Non era cosa facile, eravamo spaventati ma fortunatamente guidati da un adulto. Aggrappati ognuno al suo paletto, riuscimmo a far sì che la tenda non volasse,avrebbe causato danni a cose e persone. Quando la tempesta di sabbia e vento si dissolse, pian piano cominciammo con prudenza ad uscire. Alcune cerniere erano state danneggiate, piccole lacerazioni si erano create nei punti un cui ‘'erano i bastoncini di metallo che si erano curvati, i picchetti non erano più utilizzabili: la forza del vento aveva causato qualche danno.
Non era più possibile restare. Chiamammo i miei genitori, e con pazienza e malvolentieri cominciammo a smontare tutto. La vacanza autogestita era terminata a causa di un potente evento atmosferico che malgrado tutto ci aveva dato la certezza che se si resta legati, si possono superare le difficoltà e si può continuare ad imparare dalla vita.
Madre natura a volte si ribella e noi di fronte a lei non siamo altro che granelli di sabbia, frammenti di stelle che cercano coesione in un universo che a pensarci bene fa paura, ma laddove c’è fusione può ancora nascere qualcosa di meraviglioso, che aspetta solo di essere svelato.
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