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Manifesto disconnesso

Manifesto disconnesso

Era l’estate del 2001, all’epoca ero fidanzata con un ragazzo italo-americano e decisi a soli sedici anni di andare in viaggio in America con lui

a Chicago. Era il mio primo volo intercontinentale.

Quando sei in America tutto ti sembra innovativo. Ricordo ancora, che ero seduta a sinistra sul sedile passeggero di una jeep rossa, guidava Nazara, la cugina del mio ex. Ad un tratto prese il telefono e digitò il numero di telefono della madre, eravamo fuori dalla sua abitazione: “Mà, ho dimenticato le chiavi del garage puoi aprire?”

Mi sembrò davvero strana quell’azione e pensai tra me che era così vicina alla porta di casa, tanto da poter scendere dal veicolo, entrare ed aprire. Perché aveva preso il telefono? E addirittura chiamato? Quello per me, fu l’inizio della tecnologia.

Usare il telefono anche nelle piccole azioni, quelle che fino a quel momento sembravano così scontate da fare.

Era assurdo di come il mondo stesse cambiando ed io ritornavo in Italia con tante novità.

Sono trascorsi ventitré anni da quel giorno e l’intelligenza artificiale, oggi, ha creato la prima modella non reale.

La tecnologia è entrata nelle nostre case invadendo la privacy di ognuno di noi e quello che scrivevo sulla mia amata Smemoranda con tanto di penne colorate, veniva raccontato sui vari social network, diventando nel tempo luogo di incontro.

Ho persino raccontato tutta la mia storia da quando mi sono ammalata fino a pochi mesi fa, perché ho pensato che fosse giusto, che fosse utile, che fosse un esempio per chi abitualmente non trova la forza e si lamenta per ogni cosa.

Invece io, attraverso i social, parlavo di cancro in maniera positiva, nonostante non lo fosse per nulla.

Quanto c’è di reale dietro quello che pubblichiamo?

Ormai viviamo in una società dove mostrare una vita felice è all’ordine del giorno.

Basti pensare a Chiara Ferragni, che pubblicando sul web tutta la sua vita, non solo si è inventata un lavoro, che non esisteva prima, ma ha fatturato milioni di euro, diventando all’epoca la prima influencer al mondo, secondo Forbes.

Quanto siamo connessi con la realtà?

Riusciamo davvero a restare disconnessi?

Vi ricordate l’inizio del racconto del romanzo di Lewis Carroll, Alice nel paese delle meraviglie?

Alice cade in questo buco e mentre cade continua a chiedersi: “Chi sono?” “Sono la stessa di stamattina?”

Ecco, quella caduta è l’elemento scatenante che mette Alice in condizione di interrogarsi, conoscersi e di conoscere un mondo totalmente diverso da quello in cui viveva.

Così ho provato a fare un esercizio.

Ho archiviato tutti i miei canali social decidendo di non postare. Infastidendo forse gli algoritmi e Zuckerberg.

Mi sono resa conto che la gente ti conosce solo attraverso il web e se decidi di non postare, nessuno si ricorda di te, di quello che fai, di come stai.

Solo pochi, anzi pochissimi.

Ho osservato come la frequenza dei messaggi sul telefono sia inferiore rispetto a quando racconti sui social.

Ho iniziato a guardare luoghi per quello che i miei occhi vedevano, gustare il sapore di un pasto, passare del tempo con le persone care, vestirsi scegliendo dall’armadio per il gusto del proprio io, senza questa irrefrenabile voglia di condividere sul web.

Non mi manca ed ho scoperto il paese delle meraviglie, così reale, dove posso prendermi il lusso di essere me stessa e di godere delle piccole cose, di una passeggiata al mare, nello scenario di una primavera che inizia ad arrivare e mi sento più al sicuro, perché è vero che grazie alla tecnologia il mondo si evolve in tutti i settori, ma ogni tanto disconnettersi ci riporta alla connessione con la realtà.

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