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Grigia barriera, di qua dal mare

Grigia barriera, di qua dal mare

Come barriere insuperabili, pareti omogenee da scalare, come oggetti arrivati chissà da dove per impedire la vista, lo sguardo sull’infinito.

Posati lì forse in una lunga notte di inverno o in una breve stagione primaverile, poggiati come i sassi lungo un argine improvvisato nel gioco di un bimbo con un rivolo d’acqua. Spettrale presagio dell’inconsistenza della resistenza di un limite di terra all’avanzare della furia dell’acqua.

Paesaggio inusuale, enormi opere in calcestruzzo poste su alte opere in cemento per dire al mare di fermarsi, di non avanzare, di non distruggere il molo per salvare le barche nel porto.

Frangiflutti, ostacolo artificiale, moderne opere di ingegneria che reggano all’impatto delle onde dividendole, lacerandole.

Chissà se il mare apprezza simile visione, una frastagliata parete grigia, maestosa bruttezza. Chissà se un giorno sospinto da un terribile vento non decida di porre fine alla improbabile barriera. E se fosse qui solo da ieri, opera di esseri fantastici, di piccoli gnomi dai poteri magici, allora potrebbe anche destare meraviglia, sorpresa, stupore. Una barriera magica che magia non ha.

Non resta che camminare sul viale in cemento, anche questo, e immaginare la distesa azzurra oltre i frangiflutti, da solcare per viaggiare oltre i confini, spingersi più in là spostando la metà metro dopo metro. Abbandonare il grigio cemento armato per colori più nitidi, più intensi, più vivi. Accanto all’ostacolo artificiale, la scogliera si lascia accarezzare, lenta erosione.

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