Ha dedicato tutta la sua vita al tentativo di rendere umana l’economia, di darle una connotazione inclusiva di tutti gli individui.
L’italianissimo Bruno Johannes Leonhard Maria von Finetti, nasce per puro caso a Innsbruck, il padre ingegnere era impegnato nella costruzione della Stubaitalbahn, la ferrovia che collega il capoluogo tirolese a Fulpmes.
Ma torna presto in Italia, quando ad appena sei anni perde il padre. A tredici si ammala di osteomielite, malattia che lo rende claudicante a vita. A 17 anni si iscrive al Politecnico di Milano, segue tra le tante, le lezioni di economia di Ulisse Gobbi e lì iniziano a maturare in lui le prime idee di una economia che abbia interesse per le persone, non spinta da un liberismo assoluto. Rifiuta l’egoismo spinto del mercato.
Due anni dopo decide di dare un cambio ai suoi studi e si iscrive alla facoltà di Matematica. Amore di una vita intera.
La mente gira ad una velocità doppia rispetto a quella dei suoi coetanei e ancor prima di terminare gli studi, pubblica quattro differenti studi.
Per comprendere che tipo di persona era basta citare una sua massima “non è importante valutare le probabilità del perché qualcosa accade, piuttosto è interessante comprendere perché lo studioso pensa che accada”. Non si fermava mai al primo passo, andava sempre oltre.
Si laurea a 21 anni con una tesi sull’analisi vettoriale e nello stesso anno inizia a lavorare nel neonato Istituto di statistica. L’anno seguente partecipa al Congresso Internazionale dei Matematici di Bologna dove presenta quello che verrà ricordato come il Teorema De Finetti, aveva appena 22 anni.
Fu nella culla della conoscenza italiana, accademico dei Lincei mantenendo il suo spirito critico e anticonformista. Non ha mai lesinato critiche nei confronti dei “burosauri” ed ha portato sempre avanti di pari passo i suoi studi matematici con il suo impegno sociale. Nel 1970 diventa direttore della rivista Notizie Radicali.
“Per me è il riconoscimento che non sono soltanto un matematico, sono anche un cittadino che si preoccupa delle sorti dell’Italia, ridotta in questo stato da dei governanti che non stimo” disse quando a 71 anni fu arrestato per “associazione sovversiva, attività sediziosa e istigazione dei militari a disobbedire alle leggi”. Era il 18 novembre del 1977 e avvertito dell’imminente arresto disse che avrebbero potuto arrestarlo al termine della cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico dell’Accademia dei Lincei, dove era presente anche il presidente della Repubblica Giovanni Leone. Fu portato nel carcere di Regina Coeli e dopo appena dieci minuti arrivò la revoca del mandato di arresto. Il crimine commesso da De Finetti era l’essersi battuto per i diritti degli obiettori di coscienza.
Proiettato nel futuro, non credeva nel limite geografico della conoscenza e riteneva opportuna l’assegnazione delle cattedre universitarie anche ai professori stranieri, preclusa in Italia sino agli anni Settanta.
Aveva una visione del sapere e dell’approccio allo studio innovativa, credendo fermamente che la ragione non fosse l’unico motore “Riesce particolarmente pregiudizievole la tendenza a sopravvalutare - spesso, addirittura in modo esclusivo - la ragione che, a mio avviso, è invece utilissima solo a patto di venir considerata come un complemento atto a perfezionare tutte le altre facoltà istintive intuitive psicologiche (ma non -guai! - a surrogarle)”.
Il matematico scomodo, come veniva chiamato, arriva a contestare uno dei pilastri dell’economia, quel punto di equilibrio economico in cui il benessere collettivo non può essere aumentato per alcuni se non a discapito di altri. “Portare un po’ di logica nell’ordinamento economico non significa soltanto salvare dalla miseria e dalla fame coloro che dell’attuale sistema sono le vittime più dirette; significa anche correggere per tutti la sopravvalutazione del materiale che l’attuale sistema inevitabilmente provoca”.
Rivoluzionario.