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Frida Kahlo, viva la vida!

Frida Kahlo, viva la vida!

“Non far caso a me…io vengo da un altro pianeta. Io ancora vedo orizzonti dove tu disegni confini”.

E’ lei stessa, Frida Kahlo a mettere bene in chiaro l’impossibilità di contenerla. In un singolo luogo, in un unico quadro, in un solo amore. Così Google Arts and Culture per parlare di lei al mondo ha raccolto 800 opere appartenenti a 33 diversi musei. Una mostra virtuale Faces of Frida (qui), titanica, ma che appena scalfisce la superficie di una donna tanto eclettica, forte, impavida, appassionata della vita. 

Tutta la sua incredibile vita è raccontata nei suoi quadri. A sei anni si ammala di poliomielite, una malattia che le danneggia irrimediabilmente l’utero ed una gamba. Bisognosa di continue cure a 11 anni viene affidata ad una donna indigena che sarà la sua balia e che lei dipingerà in seguito in My nurse and I, la balia nuda con una maschera pre-colombiana a coprirle il viso e lei tra le sue braccia vestita di bianco.

A 18 anni, il 17 settembre del 1925 subisce un terribile incidente, mentre percorreva la città in tram. Un solo attimo che cambierà per sempre la sua vita. Si frattura decine di ossa e la spina dorsale da quel momento non sarà più lei a tenerla dritta, ma solo e sempre la sua forza di volontà. Subisce più di 40 operazioni e per tutta la vita indosserà un busto. Quel momento di svolta resterà marchiato a fuoco nella sua anima, dipingerà The Bus. Sei persone sedute sulla panchina in legno di un tram, una giovane madre di famiglia con la cesta della spesa al braccio, un ragazzo in tenuta da lavoro, una madre indiana a piedi nudi che allatta il figlio, un bambino che guarda dal finestrino, un uomo d’affari e una giovane ragazza vestita di rosa, presumibilmente lei. Uno scorcio della società messicana del tempo. Nessun riferimento diretto all’incidente, ma sullo sfondo un locale con una insegna La risa (la risata).

La madre per alleviare gli infiniti giorni che Frida dovrà trascorrere immobilizzata a letto le farà costruire un cavalletto che le consentirà di dipingere pur rimanendo stesa, fa appendere sul soffitto uno specchio per permetterle di guardarsi e le regalerà tele, tempere e pennelli. Nasce in quel preciso momento Frida Kahlo, l’artista. Dipinge qualsiasi cosa e inizia da ciò che le è più vicino, come l’amica Alicia Galant. Dove il nero dello sfondo fa da contraltare al bianco della sua pelle e al celeste dei suoi occhi.

Dipinge se stessa una infinità di volte e mette in mostra tutto il suo dolore, si raffigura con i suoi corsetti necessari per rimanere dritta, con il corpo trafitto da frecce, imbrigliato in un tutore di acciaio, con una collana di spine. Dipinge se stessa perché “sono così spesso sola e perché sono l’argomento che conosco meglio”. Nelle Due Frida pennella le sue due identità, una vestita di bianco con un abito ricamato di stile europeo, l’altra con un tradizionale abito di Tehuana. I cuori di entrambe sono esposti e collegati l’uno all’altro. La Frida in bianco taglia con un paio di forbici una arteria, l’altra tiene in mano un ritratto di Diego Rivera.

Tre anni prima conosciuto il maestro Rivera, mentre lui era intento a dipingere un murales nell’anfiteatro Bolivar. Quello fu il secondo marchio a fuoco della sua vita o come disse lei “Ho subito due gravi incidenti nella mia vita… il primo è stato quando un tram mi ha travolto e il secondo è stato Diego Rivera”.

Si amano, si tradiscono, litigano, si feriscono, si allontano, tornano insieme. Si sposano e poi ricominciano tutto daccapo. Nel 1932 mentre erano a Detroit lei subisce un aborto spontaneo e devono portarla in ospedale per porre rimedio all’inevitabile.

Lei disse al medico “Mi sono interrotta in un battito di ciglia” e poi riversò quell’immenso dolore in un quadro Henry Ford Hospital

Per tirar fuori tutto quel dolore chiese ai medici di mostrarle il feto del bambino per poterlo dipingere. Non le fu concesso, ma ogni fibra del suo corpo ricordava perfettamente quel momento e lo dipinse con una tale forza da rimanere impresso negli occhi di chiunque in seguito l’abbia guardato.

Lei su un letto, nuda, il sangue a macchiare le lenzuola, fili rossi come cordoni ombelicali partono da lei per raggiungere i sei simboli di quel trauma, una lumaca simbolo della lentezza dell’aborto, un feto maschio, una riproduzione della zona pelvica simbolo di quella parte del suo corpo danneggiata per sempre, che non era stata in grado di trattenere e proteggere suo figlio, una macchina, una orchidea dono di Diego e un osso pelvico. 

Frida traduceva visivamente i suoi ricordi, le sue emozioni e arricchiva ogni suo quadro con dettagli carichi di un simbolismo nascosto.

Chi colpevolmente non la conosce, di lei ricorda solo le sopracciglia unite, che non erano un retaggio di inizio secolo, ma le volle e dipinse così perché le ricordavano le ali di un uccello. Poteva finalmente sentirsi libera. Volare sopra tutti i suoi dolori.

Amava i fiori e i colori della cultura messicana e li dipingeva sempre in ogni dove “per non farli morire”.

Nulla ha mai fermato la sua sete di vita e anche quando ormai il dolore era diventato insopportabile e il deterioramento delle sue condizioni prossimo alla fine, dipinse un ultimo quadro, un inno alla vita. Una tavola piena di angurie sulle quali scrisse “Viva la vida”.

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