Pop life, Pop art

Era il 1985 e Prince cantava “Pop life, everybody needs a thrill”, alla batteria c’era Sheila E., i cori erano di Wendy & Lisa.

Il mondo correva felice in un tripudio di colori e i canoni venivano stravolti perché “life it ain’t real funky, unless it’s got that pop”.

Emilio Tadini intinge i suoi pennelli di colori saturi, crea forme che richiamano i sogni, la psicanalisi, le fiabe. Dipinge un azzurro intenso e profondo come il mare e poi l’arancione e il rosso a fare da contraltare. Il giallo di uno spicchio di luna, il verde di un cielo collodiano. La pop art italiana è sfolgorante, via la polvere, l’odore di incenso, in sentore di muffa. L’unico aroma che si sente è quello della ribellione ad un mondo precostituito, già morto, paludoso come insegna il Gattopardo.

Con la pop art tutto cambia, un cavolo diventa un albero, l’esagerazione di un collo che svetta in alto come un grattacielo è un omaggio a Modigliani, il ribelle per antonomasia. L’ossessione per le pere di Concetto Pozzati, dorate, lucide, luminose e poi Mario Schifano, Tano Festa, Mimmo Rotella.

Erano già vent’anni che furoreggiavano su tele e cartelloni, nel 1962 nella galleria Sidney Janis sulla 57° strada accanto a Christo, Klein, Tinguely ci sono loro Tano Festa, Enrico Baj, Gianfranco Baruchello, Mimmo Rotella e Mario Schifano.

“Pop life, we all got a space to fill”, riempire spazi, il vuoto non esiste, ci sono forme, colori, oggetti, ammennicoli. Come un gingillo tintinnante metto in mostra la tua vita, la desacralizzo e cosa resta? Resti tu e ogni oggetto che è stato deoggettivizzato.

Resta l’anima liberata, l’immaginazione e l’incoraggiamento ad andare avanti. Haring insegna.

Nel castello aragonese di Otranto, la mostra “Mario Schifano, Tano Festa, Franco Angeli e i protagonisti della Pop Art in Italia” sarà visibile sino al 26 novembre.