Cultur&motive

Il ritmo del tempo di Gianfranco Bonadies

Il ritmo del tempo di Gianfranco Bonadies

Il tempo scorre mutando le forme, ma lasciando intatti i contenuti. 

Nel 1932 su una trave sospesa a 250 metri da terra undici operai fanno la loro pausa pranzo, uno scatto entrato nella storia e rivisto con gli occhi di Gianfranco Bonadies, illustratore e motion designer seguendo il solco di un tempo che ha mutato i lavori ma non le persone. I suoi disegni hanno tratti netti, colori decisi, sono racconti in un attimo che cristallizzano il tempo.

Come si vive nelle immagini?

Freneticamente, cercando di darsi un ritmo, quindi alternando dei momenti in cui bisogna darci dentro a momenti di distacco per guardare il lavoro da una certa distanza. Alternando sempre questi due ritmi.

Quanto è importante la natura nei tuoi lavoro?

Credo che sia importante quanto l’esistenza dell’uomo. La natura per me può essere un simbolo che riconduco alla vita nelle sue sfaccettature, quindi può essere un simbolo dell’esistenza umana, con i ritmi del tempo che è diverso tra varie tipologie di natura. Vuoi o non vuoi l’essere umano fa parte della natura, ma il suo ciclo di vita dura meno di quello di un albero, così come un cane ci lascia prima, nel nostro giardino di casa si susseguono guerre, vita,  morte tra insetti e cicli di piante selvatiche. Quindi anche se la natura non è il centro del mio lavoro può ritornare come simbolo di questa tensione tra la vita e la morte.

Il centro del mio lavoro è il tempo. Ciclicamente ho una nuova fissa mentale che mi accompagna per un periodo più o meno lungo e in questo periodo - subito dopo la pandemia - sto riflettendo molto sul tempo, e sto appuntando e abbozzando molte idee su questo argomento. 

Le illustrazioni accompagnano le parole e viceversa, ma cosa arriva prima?

Ultimamente sto adottando una pratica che mi sta dando molte soddisfazioni, sto lavorando su miei progetti dove faccio prima un breve brainstorming di parole per creare un mondo che ho chiaro in testa e che in qualche modo voglio portare sulla carta e poi da quelle parole estraggo quelle che mi interessano di più e da lì continuo a lavorare. Mentre per il mio unico albo illustrato feci tutte le illustrazioni e mi sembrava che mancasse un testo e lo scrissi dopo per dare un ritmo al tutto.

Un colore e una parola di cui non potresti fare a meno?

Il blu come  colore e la luce come parola, non tanto quella divina quanto quella del sole, quella della mattina. Ho una dipendenza dalle prime ore del giorno, è il momento più bello della giornata secondo me. Mi piace lavorare e vivere quella parte della giornata. Da lì declino tutto, se va bene la mattina va bene forse anche la sera.

C’è un gusto o una sensibilità diversa in Italia e all’Estero o le immagini sono universali?

L’immagine è universale. Può incappare in qualche confronto per la destinazione che hanno, a volte le metafore vanno limate su certi mercati, ma nel complesso direi che sono universali.

Chi ti ispira?

l mio primo amore penso che sia stato Erik Drooker, illustratore statunitense, la sua graphic novel, il silent book Flood mi ha cambiato in qualche modo la vita, e all’epoca mi ha avvicinato - frequentavo all’accademia delle Belle Arti - alla xilografia, che poi col tempo non ho potuto coltivare. Poi c’è Shaun Tan con L’Approdo mi ha aperto la mente e poi soprattutto con un libro che mi regalarono L’albero Rosso, un libro che cercava di fare metafore con le immagini, parlando di sentimenti tristi e di come uscirne. Una nuova prospettiva nella visione del quotidiano, mi fece molto bene come regalo e mi diede un forte impatto dal punto di vista visivo. È un’opera che in qualche modo si riflette nel mio unico albo illustrato, che si chiama La cosa più probabile. Infine direi Maurice Sendak con il suo Nel Paese dei mostri selvaggi. 

 

Abbiamo incontrato Gianfranco Bonadies all’Officina degli Esordi, durante un incontro organizzato da Spine Bookstore.

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