
www.pressinbag.it è una testata giornalistica iscritta al n. 10/2021 del Registro della Stampa del Tribunale di Bari del 10/05/2021.
Il popolo non c’è in questa piccola piazza di una frazione di Minervino di Lecce.
Ci sono pochi compassati e compiaciuti guardiani di questa enclave che si immagina regno.
Un piccolo palco tra i pini, arriva Mario Perrotta e la vita “maletratata e molto travagliata e molto desprezata” di Vincenzo Rabito si rianima.
Siamo nel 1899 a Ragusa, dove nasce Vincenzo Rabito da una madre che rimane troppo presto vedova dei suoi sette figli orfani. Vincenzo lavora nei campi, non va a scuola, ma quando sarà grande e avrà vissuto una intera vita decide di chiudersi a chiave in una stanza della sua casa, ogni giorno dal 1968 al 1975 con una vecchia Olivetti che lasciò lì il figlio prima di andar via. Inizia la sua personale battaglia con il suo semianalfabetismo e una storia da raccontare. Milleventisette pagine, interlinea zero, senza lasciare un centimetro di margine superiore né inferiore né laterale, per risparmiare carta. Scrive della famiglia, delle due guerre, del lavoro, il matrimonio, i figli, l’Italia che si riscopre fascista e poi socialista e un po’ comunista. Uno sforzo immane per far rivivere quella vita vissuta come una “tartaruca, che stava arrevanto al traquardo e all’ultimo scalone cascavo”. La Terra Matta di Rabito diventa il Manuale di sopravvivenza di Mario Perrotta, immenso attore teatrale, pugliese o meglio salentino come si definisce lui.
Un viaggio senza fine lo accompagna, Itaca non lo riconosce, percorrere il mondo è la punizione di chi non può tornare a casa, quella patria di sole, mare e vento che non lo riconosce, poche sedie, neanche un centinaio, un evento intimo, per pochi direbbero, tornando a quella enclave che si sente regno, che caccia fuori da quella piazza il popolo che le dà il nome. Ma Ulisse/Perrotta non si ferma, non arretra, non indugia, la sua forza cresce ad ogni onda, anche quando qualche compassato sorride della lingua sgrammaticata di Rabito. Ma che ne sanno? Lui caparbio continua, diventa Vincenzo, con la sua ostinazione, con la sua forza, con la delicatezza di un attimo, con l’amore che custodisce semplice nel cuore. Continua a vivere come fosse Vincenzo, tra le campagne siciliane e poi al fronte e poi sui campi, in un matrimonio menzognero e lotta Vincenzo, lotta ogni giorno, con quella purezza di un’anima che vive e vive Perrotta vive con le sue parole su quel piccolo palco in quella sua terra che non sa accoglierlo come dovrebbe, ma continua a creare piccoli eventi per poche selezionate persone. Dovrebbe gridare in una piazza di popolo non del popolo. Dovrebbero ascoltarlo tutti, vedere il suo viso, la fatica, l’enfasi, l’ardore. Dovrebbero avere tutti sulla bocca le parole di Vincenzo/Mario. Dovrebbero.
Lui non si arrende. Come Vincenzo che quel libro l’ha scritto. La moglie alla sua morte voleva buttarlo, il figlio Giovanni lo salva dai rifiuti insieme alla Olivetti, lo custodisce per 18 anni e poi lo porta all’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano. L’anno dopo vince il premio Pieve, nella motivazione tra le righe, si legge “il capolavoro che non leggerete mai”. Ma nel 2007 viene pubblicato da Einaudi e lo leggono in 40mila.
Una storia di ostinazione, di voglia di vivere, di amore, di una torta che arriva alla fine ricompensa di una vita intera.
Perrotta vive sul palco la vita di Vincenzo, quella raccontata in trenta puntate su Rai Radio 3 durante gli anni del Covid. Un progetto nato per non farci sentire soli in un momento di spaesamento e fragilità collettiva. Perrotta ha scelto la vita di un uomo che non ha mai messo in dubbio che la vita anche se maletratata e molto travagliata e molto desprezata vale la pena viverla.
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