Visioni d'insieme

A great day in Harlem

A great day in Harlem

Il jazz era nella sua era d’oro, Harlem era stata la culla in cui tutto era nato, Manhattan era il luogo dove a fine anni Cinquanta stava migrando il bop.

Nell’estate del ’58 il direttore artistico di Esquire, Robert Benton - che anni dopo vinse due Oscar per la regia e la sceneggiatura di Kramer contro Kramer - e Harold Hayes voleva dedicare un numero monotematico al jazz. In copertina una scatola con trombe, sassofoni, clarinetti e la scritta The golden age of jazz. Benton vuole scattare una foto per il paginone centrale con tutti i più grandi jazzisti del momento. Scelgono Art Kane un giovane art director che sino a quel momento non aveva mai scattato una fotografia, ma era un appassionato di jazz. Era perfetto per entrare nel mood. Kane scelse il portone di una casa in arenaria ad Harlem, al 17 East 126th Street,  tra la Fifth e Madison Avenue. Contattò case produttrici, radio, sindacato dei musicisti per raccogliere quanti più musicisti era possibile.

Radunare un gruppo di jazzisti di prima mattina per una foto era quasi impossibile, celebre la battuta di uno di loro “ma esistono due ore 10 in un giorno?”.

Arrivarono in 58, anche se nella foto sono 57, Wille “the lion” Smith si allontanò, sedendosi sui gradini di una veranda a pochi passi da lì perdendo il momento dello scatto. Li definirono “55 gatti e 3 ragazze”.

Un gruppo di bambini continuava a rubare il cappello di Count Basie, ritardando lo scatto. Art Kane decise di inserire anche loro nella foto e Basie si sedette sul marciapiede con loro.

Kane scatta con la sua Hasselblad ogni istante, gli artisti chiacchierano, fumano, si divertono, sembrano bambini in gita e lui per farsi sentire arrotola un giornale a mo’ di megafono e li richiama all’ordine. Era giovane, inquieto, non riusciva a stare fermo, se ne accorsero tutti. “Il jazz è un’arte di affermazione individuale all’interno e contro il gruppo” scrisse una volta Ralph Ellison e in quegli scatti c’è il senso di quelle parole. La personalità spiccata di tutti, il proprio mood, ma anche il senso di un insieme coeso.

C’erano Dizzy Gillespie, Count Basie, Charles Mingus, Thelonious Monk, Lester Young, il gotha della musica.

Il vento stava spirando verso Manhattan, tra la 52esima strada a Midtown Manhattan. Solo un anno dopo Miles Davis con John Coltrane pubblicò Kind of Blue cambiando per sempre le regole del jazz. Ma in quel momento, per un solo giorno il mondo si fermò e Harlem era l’Olimpo dove sedevano tutti gli dei.

Erano passati più di trent’anni dal manifesto di Langston Hughes che incoronava il jazz strumento espressivo della ribellione nera. Ma quel fermento era ancora vivo.

Il paginone centrale del numero di gennaio 1959 di Equire divenne storia, Jean Bach su quella foto realizzò un documentario A Great Day in Harlem candidato agli Oscar.

Art Kane di quello scatto disse “Non ho idea di come abbiano deciso di stare dove si sono fermati e con chi, ma lo hanno fatto. Lentamente si sono formati in un grande gruppo… e ho visto che non avrebbero potuto mettersi in una posizione migliore”.

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