Visioni d'insieme

Vogliamo il pane e anche le rose

Vogliamo il pane e anche le rose

Giugno 1910, una ispettrice di fabbrica, una giudice di pace, una chirurga, una ministra e una cantante attraversano l’Illinois in auto.

Helen Todd, Catherine McCulloch, Anna Blount, Kate Hughes e Jennie Johnson vogliono promuovere il diritto di voto delle donne e per farlo devono convincere il maggior numero possibile di persone che una donna vale quanto un uomo, ha i suoi stessi diritti oltre che i doveri.

Helen Todd impronta il suo discorso sui salari e le condizioni di lavoro. “Non subito; ma la donna è l'elemento materno nel mondo e il suo voto contribuirà a far avanzare il tempo in cui il Pane della vita, che è casa, rifugio e sicurezza, e le Rose della vita, della musica, dell'educazione, della natura e dei libri, saranno patrimonio di ogni bambino che nasce nel paese, nel governo di cui ha voce”.

James Oppenheimer tradusse quelle parole di lotte in poesia.

Non subito, due anni dopo, nel maggio 1912 Merle Bosworth a Plymouth sale sul palco e inneggia al suffragio femminile richiamando quelle stesse parole “vogliamo il pane e anche le rose”, un mese dopo a Cleveland è Rose Schneiderman della Women's Trade Union League di New York a dire “Ciò che la donna che lavora vuole è il diritto di vivere, non semplicemente di esistere, il diritto alla vita così come ce l’ha la donna ricca, al sole e alla musica e all’arte. Voi non avete niente che anche l’operaia più umile non abbia il diritto di avere. L’operaia deve avere il pane, ma deve avere anche le rose. Date una mano anche voi, donne del privilegio, a darle la scheda elettorale con cui combattere”.

Il pane e le rose per cui protestavano le operaie dell’industria tessile di Lawrence, costrette a turni massacranti per pochi spiccioli vivendo in case insalubri, ammassate le une sulle altre. Il primo gennaio 1912, nell’atmosfera distratta dalle feste, lo stato del Massachusetts approva una legge che riduce la paga settimanale dei lavoratori e delle lavoratrici, sei dollari in meno, mascherandola con un obolo, la riduzione dell’orario di lavoro da 56 a 54 ore settimanali per donne e bambini. 

Credevano di poter comprare il silenzio e l’accondiscendenza delle lavoratrici con un po’ di elemosina.

I telai di tutta la città furono fermati, le prime furono le donne, in una settimana si aggiunsero i loro colleghi e gli operai e le operaie di tutto il settore. Erano quasi in trentamila persone a manifestare senza sosta 24 ore su 24 a Lawrence. Joseph Ettor e Arturo Giovannitti, organizzatori dello sciopero scelsero due rappresentanti per ogni etnia, traducendo ogni riunione sindacale in 25 lingue diverse. Ogni parola aveva un peso e comprenderle era essenziale per la lotta.

Crearono una catena umana perennemente in marcia, per evitare l’arresto per vagabondaggio disposto dalla polizia. Portarono in carcere le donne, non gli uomini, e i poliziotti uccisero Anna LoPizzo. Della sua morte accusarono Ettor e Giovannitti, che in quei giorni non erano in città. Furono arrestati e restarono in carcere insieme a Joseph Caruso, un operaio, sino a settembre. Arrivarono soldi da tutte le città degli Stati Uniti per pagare la loro difesa legale, furono raccolti 60mila dollari. In Svezia e in Francia gli operai boicottarono i prodotti tessili realizzati negli Stati Uniti, a Roma davanti al consolato americano ci fu un sit in di protesta con migliaia di persone. Il 26 novembre il governo dovette gettare la spugna, i tre furono scarcerati per non aver commesso il fatto. 

La lotta continuò incessantemente in tutti quei mesi. Per sostenere lo sciopero famiglie di altre città accolsero i figli delle operaie e degli operai in lotta. La polizia fece delle barricate, caricando le donne per impedir loro di far salire i figli suoi treni. Non si fermarono, non indietreggiarono di un solo passo. Chiedevano il 15% di aumento dei salari, la riduzione dell’orario lavorativo da 56 a 54 ore, il pagamento degli straordinari e la riassunzione degli scioperanti licenziati. Ottennero tutto e anche di più: 25% in più di stipendio per operaie e operai pagati di meno e 15% per tutto gli altri, straordinari, riduzione orario lavorativo e riassunzione. Al grido “vogliamo il pane e anche le rose” la protesta durò quasi un anno, osteggiata dalle autorità, sostenuta dalle lavoratrici e dai lavoratori di tutto il mondo. 

“Mentre veniamo marciando, marciando nella bellezza del giorno, / Un milione di cucine buie, mille soffitte grigie, / Sono toccate da tutto lo splendore che un sole improvviso dischiude, / Perché la gente ci sente cantare: "Pane e rose! Pane e rose! Mentre veniamo marciando, marciando, anche noi combattiamo per gli uomini, / Perché sono figli di donne, e noi gli facciamo da madre. / Le nostre vite non saranno sudate dalla nascita fino alla fine della vita; / I cuori muoiono di fame così come i corpi; dateci pane, ma dateci rose! / Mentre veniamo marciando, marciando, innumerevoli donne sono morte/ Andiamo piangendo attraverso il nostro canto il loro antico grido per il pane. / Piccola arte, amore e bellezza conoscevano i loro spiriti sgobbati. / Sì, è il pane per cui lottiamo, ma lottiamo anche per le rose! / Mentre veniamo marciando, marciando, portiamo giorni più grandi. / L’ascesa delle donne significa l'ascesa della razza. / Non più lo sgobbone e l'ozioso - dieci che faticano dove uno riposa, / Ma una condivisione delle glorie della vita: Pane e rose! Pane e rose!”.

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