Visioni d'insieme

La mia ragione d’essere sei tu, June

La mia ragione d’essere sei tu, June

Lei gli aveva dato uno scopo per amare, lui dal palco le ripeteva che lui ora rigava dritto. Cantava quelle parole per rassicurarla.

Dagli sterminati campi dell’Arkansas dove il piccolo Johnny Cash aiutava la famiglia a raccogliere il cotone sino al successo universale, una intera vita condita da una massiccia dose di alcool, barbiturici e anfetamine.

Johnny era un ragazzo perduto, uno che cantava “ho ucciso un uomo solo per vederlo morire”, ma il suo walk the line era lei June Carter. Per il suo 65esimo compleanno, il 23 giugno 1994 le scrive una lettera d’amore “Mi affascini e mi ispiri ancora. Mi influenzi in meglio. Sei l’oggetto del mio desiderio, la ragione terrena n. 1 della mia esistenza”.

Frasi brevi come i versi delle sue canzoni.

Si incontrarono su un palco, entrambi erano sposati, lui come sempre vestito di nero con la fama da cattivo e attaccabrighe a precederlo, lei con la sua gonna a ruota e il fiocco di raso tra i capelli. Johnny si innamorò all’istante, lei cercò di scacciare dal suo cuore quel battito che saliva, cresceva e non le dava respiro.

Lui le chiese di sposarlo così tante volte da perderne il conto ma non abbastanza per desistere. Per tredici anni inanellò un rifiuto dopo l’altro, sino al primo marzo del 1968 quando finalmente June disse si all’ennesima proposta fatta dal palco del suo ultimo concerto, appena una settimana prima.

“Invecchiamo e ci abituiamo. La pensiamo in modo simile. Ci leggiamo nel pensiero. Sappiamo cosa vuole l’altro senza chiedere. A volte ci irritiamo un po’. Forse a volte ci diamo per scontati” scrive lui, innamorato nella vita solo di lei, una donna piccola e minuta che è stata in grado di salvarlo costringendo lui a salvarsi da solo.

“Ma una volta ogni tanto, come oggi, ci medito e mi rendo conto di quanto sono fortunato a condividere la mia vita con la donna più grande che abbia mai incontrato”.

Ti amo moltissimo, scrive lui, senza che nessuno ne dubitasse mai.

E lo ripete nella seconda lettere che le scrive, l’11 luglio 2003, lei era morta da appena due mesi e lui devastato abbozza solo due righe, non serve altro “Amo June Carter, lo faccio. Sì, certamente. Amo June Carter. E lei mi ama. Ma ora lei è un angelo e io no. Ora lei è un angelo e io no”.

É riuscito a vivere solo altri due mesi senza di lei, sua ragione d’esistenza.

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