Solitario, maestoso, ha donato i suoi frutti con impegno nonostante si sia sentito soffocare, a volte, dalle polveri sottili della città.
Solitario aspetta che venga qualcuno, il suo amico di sempre, a raccogliere melegranate. Sorprende la sua chioma, il suo vigore, di albero fiero cresciuto nel piccolo giardino di tre metri per tre tra i palazzi e la strada. Carico come non è stato mai, aspetta paziente che arrivi qualcuno ad alleggerirgli la fatica di mantenere i tanti frutti, ad alleviargli il dolore di vedere le sue preziose palle coronate scoppiare, aprirsi lasciando cadere grani. Ben altra immagine vorrebbe il coraggioso melograno per i suoi frutti. “La melagrana è come un seno/ vecchio di pergamena,/ e il capezzolo si è fatto stella/ per illuminare il campo. /È un’arnia minuscola/ col favo insanguinato,/ e le api l’hanno formata/ con bocche di donne./ Per questo scoppiando ride/ con porpore di mille labbra”, recitava una poesia di Federico Garcia Lorca.
Loro, le melegranate, sornione con il cuore rosso intenso, piccoli rubini come gocce che invadono prati fioriti e colorano universi, piccoli baci da donare al mondo. “Il mio bacio era una melagrana/ profonda e aperta:/ la tua bocca era rosa di carta./ Lo sfondo un campo di neve”, sempre Lorca a ricordare quanto questo frutto possa ispirare.
Cresciuto in un piccolo giardino ha ascoltato i rumori del giorno, le grida dei bambini, i piatti nelle cucine, le auto per le strade, ora aspetta, i rami pieni, che arrivi qualcuno che non vede da tempo. l’erba intanto cresce ai suoi piedi. d’improvviso un cigolio, un cancello che si apre, il melograno ha un piccolo fremito di felicità.