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Io che volevo solo giocare

Io che volevo solo giocare

Io che volevo solo giocare scesi quelle scale con le mie calze bianche e tutto cambiò.

Volevo solo giocare ma uno dopo l’altro ho messo al mondo cinque volte il mio essere, il cuore che mi batte in petto, i polmoni con i quali respiro, la pancia con la quale sento, la mente che genera pensieri.

Li ho cresciuti e amati più di me stessa e non me lo sono mai dimenticata di quanto li amavo. Neanche per un istante in tutta la mia intera vita. E li amo ancora ora, nonostante tutto. Io che volevo solo giocare, ma non ne ho mai avuto il tempo, che correva e mi rincorreva e io per non farmi prendere correvo più forte di lui. Senza mai lasciare nessuno indietro.

Io che volevo solo giocare rubavo il tempo alla notte per vivere altre vite tra le pagine di quei libri dalle copertine gialle. Ed ero sempre in piedi, che il tempo non si spreca e io uno spreco non so manco cosa vuol dire. Io che non mi fermavo mai, che conoscevo la stanchezza ma mai mi sono fatta sopraffare.

Io che volevo solo giocare guardavo quel grande letto che solo a Pasqua e a Natale si riempiva di dolci e sognavo di riempirmi la bocca di mandorle e vincotto.

Io che volevo solo giocare, ma non ho mai giocato, ho costruito giochi per tutti i miei cinque cuori pulsanti che uno dentro l’altro vivevano nel mio. E battevano cosi forte che a volte non riuscivo a contenerli tutti. Ma lo facevo lo stesso, anche se il cuore mi esplodeva in petto.

Di questa vita ne ho fatto favole, inscenato opere teatrali per mantenere vivo l’incanto il più a lungo possibile. Ho dipinto il mondo con i colori più belli, ho preso il nero e l’ho racchiuso in me così che non offuscasse la luce e i colori. Ho dipinto un rosso vivo e caldo la dove c’era un marcescente marrone. Ho illuminato i grigi facendoli virare tutti sull’azzurro. Ho versato badili di verde ovunque. Che la speranza mai si spegnesse. E non mi sono mai fermata e il tempo passava. E sempre correndo, distrattamente alle volte compravo quelle grandi bocce colorate che quasi mai ho tenuto tra le mani. Ma erano il gioco che volevo giocare, erano la speranza di un momento in cui mi sarei potuta fermare, distrarre da tutto quell’affanno e lanciarle in aria e farle cadere nella sabbia. Una poi l’altra e un’altra ancora. Un gioco così semplice, così chiaro, dove non dovevo combattere da sola contro tutti quei mulini a vento. Bastava lanciare per aria quelle grandi bocce colorate. Così semplice, senza affanni, senza pene, senza dolore né stanchezza. Io che volevo solo giocare ho combattuto una vita intera e ancora oggi combatto. Perché non posso fermarmi, perché devo mantenere intatto l’incanto. E se qualcuno di quei cinque cuori pulsanti l’ha perso lungo la strada, non è colpa mia, è stato distratto. Ha chiuso gli occhi e non ha più guardato tutti quei colori con cui avevo dipinto il mondo intero per loro. Ho smussato angoli, spalancato porte, abbattuto muri e se solo foste stati attenti ora sareste in grado di farlo anche voi, per ciò che vi batte nel petto. Ma siete stati distratti. Non vi siete accorti che la luce e il colore e il calore che vi circondava non vi era semplicemente arrivato in dono. Mi è costato fatica. Io ero sempre lì a smorzare i grigi, a placare i neri. E sono ancora colore, per chi lo sa vedere.

Ma se mi fermo un attimo e penso, penso che tutta questa vita a rincorrere e  illuminare e combattere restando in piedi, sia stata troppo per una bambina che voleva solo giocare.

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