
www.pressinbag.it è una testata giornalistica iscritta al n. 10/2021 del Registro della Stampa del Tribunale di Bari del 10/05/2021.
Nel bianco nero di una città immobile le ombre avanzano nella quotidianità. Spenti i sorrisi resta un velo di tristezza del sopravvivere.
Le fotografie di Alexey Titarenko sorprendono per la loro universale attualità e le persone, delle quali non si distinguono i tratti, diventano ombre dai contorni ambigui adattate al freddo e distante paesaggio urbano che resta immobile mentre il tempo scorre. Nessun colore, nessun trasalimento, solo una insanabile tristezza del vivere senza prospettive, schiacciati dal peso dell’indifferenza, rassegnati a non avere gioie perché privati della libertà.
La macchina fotografica dell’artista russo, posizionata all’ingresso della stazione metropolitana Vasileostrovskaya a San Pietroburgo immortala un mare umano di ombre. Un mare simbolo di sofferenza, di rinunce, di guerre, di perdite, di sconfitte, una folla anonima che si muove verso mete sconosciute. Un mare che ci appartiene, che è comune al mondo e al contemporaneo.
La solitudine di una massa, come quella del singolo, sono aspetti centrali nell’opera del fotografo russo che negli anni ‘90 dopo la caduta dell’Unione Sovietica ritrae il popolo privato della individualità.
Le fotografie, in mostra al PhEST di Monopoli, restituiscono al visitatore l’idea di provvisorietà del genere umano e lasciano un senso di condivisione di quella angoscia e di quella tristezza del popolo ombra, muto dinanzi all’evolversi delle situazioni, spettatore ormai inghiottito dalla ferocia del potere. E mentre tutto scorre il nostro camminare è vuoto, privo di una metà che restituisca serenità. Siamo il nulla.

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