Cultur&motive

Pleased to meet you, Martin Parr

Pleased to meet you, Martin Parr

“Penso che l’ordinario sia un aspetto delle nostre vite molto poco sfruttato perché è così familiare”.

Martin Parr fotografa ciò che vede dietro l’angolo, nessuna magnificenza, le immagini patinate non gli interessano, non leviga alcuna superficie, ma si avvicina quanto più possibile e scatta. Le spiagge, luogo molto amato, diventano studio antropologico di usi, costumi e tradizioni.

“Il mio lavoro in bianco e nero è più una celebrazione mentre il lavoro a colori è diventato più una critica della società”, l‘overtourism, il kitsch, la finzione alla Truman Show di una spiaggia posticcia. Critica affiancata ad una resa incondizionata e pacifica alla normalità come nuovo canone. Le sue fotografie sono sature, intense, i colori vivi, brillanti, esagerati e il soggetto più che in primo piano è in grembo a lui, ne sentiamo gli odori e gli umori.

Per un fotografo che denuncia “La maggior parte delle immagini che consumiamo sono propaganda” di bellezza, opulenza, omologazione, ricchezza, potere, di ciò che è opportuno e ciò che non lo è, i suoi scatti sono ciò che resta: la quotidianità, la diversità, le sfaccettature, la normalità intesa come indulgenza verso l’errore, l’eccesso, lo scomodo, la fallibilità dell’essere umano.

Le persone sono sempre presenti nelle sue foto, vere come una signora anziana che prende il sole con i suoi capelli ossigenati e l’abbronzatura troppo scura per i diktat del buon gusto, come una canotta sdrucita e un braccio con le sue pieghe e le macchie del tempo di una turista in piazza san Marco a Venezia irriconoscibile dietro la sua macchina fotografica e uno stuolo di piccioni che la sovrasta, vere come un corpo non magro, ma libero, adagiato su una sdraio.

 Cinquanta fotografie di Martin Parr raccolte in Pleased to Meet You sono in mostra, sino al 16 novembre, in tre distinti luoghi a Monopoli per il Phest festival internazionale di fotografia e arte.

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