
www.pressinbag.it è una testata giornalistica iscritta al n. 10/2021 del Registro della Stampa del Tribunale di Bari del 10/05/2021.
Uscire da una bolla cognitiva non è facile ma la scoperta di un mondo nuovo e diverso è affascinante.
Ci vuole curiosità, immaginazione e naturalmente una mente aperta capace di accettare che le piante o meglio l’intero mondo vegetale sono “la personificazione, la realizzazione concreta di tutte le utopie umane che noi abbiamo da millenni, come quella di creare una società in cui ognuno ha secondo ciò di cui ha bisogno. Noi non ci siamo mai riusciti, abbiamo sempre fatto dei grandi traumi ogni volta che abbiamo provato a fare qualche cosa di simile. Per le piante è normale”.
Le piante, lo spiega benissimo Stefano Mancuso, neuroscienziato, docente di arboricoltura generale ed etologia vegetale all’Università di Firenze, membro dell’Accademia dei Georgofili, membro fondatore della Société internationale pour le signalement et le comportement des plantes e direttore del Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale nella sua lectio magistralis al Libro Possibile di Polignano a Mare.
“La strategia migliore per garantire la sopravvivenza è mettervi in competizione per le risorse che avete lì intorno oppure provate a vivere in una comunità?”, chiede ad un pubblico assorto e incredulo. La storia ha dato torto all’uomo, incapace di fare comunità e molto incline al conflitto e ha premiato le pianti capaci di creare una rete di connessioni, una comunità appunto, milioni di anni prima di noi che oggi ancora ci interroghiamo sull’opportunità di condividere con l’altro spazio e risorse, in una lotta uno contro uno, molto umana, molto arcaica e discretamente ridicola. “abbiamo perso la nostra capacità di pensare, di ragionare e di comportarci come una specie. Ora ragioniamo come un gruppo di individui” spiega il professore che il New Yorker ha definito il poeta-filosofo.
E se non è la sopravvivenza della specie la nostra priorità ma il vecchio e ridicolo uno contro uno, resta solo da chiedersi: chi vincerà? Anche in questo caso basta guardare al passato a ciò che è sempre stato, scoprendo che no, non è il più forte, il più ricco o il più intelligente, è il più adatto, chi o cosa avrà la capacità di adattarsi al cambiamento, al mutare delle circostanze. Si sono estinti i dinosauri, cosa ci fa pensare che il più forte tra noi sopravviverà? Solo qualche vecchio film d’azione dove un singolo uomo più forte di tutto e tutti vince contro tutti e tutto.
Torniamo alla capacità delle piante di creare una comunità dove attraverso le radici, tutti sono connessi e si passano informazioni e nutrimento. È una idea poetica? C’è un pizzico di romanticismo in questa visione? Stiamo ergendo un ulivo o una margherita a guida morale dell’umanità? No. È una soluzione pratica che le piante hanno trovato per sopravvivere come specie.
“Hanno un’etica o una morale, ma neanche per idea, tutte queste cose sono umane, non esiste niente del genere. Se troviamo un comportamento del genere nel mondo vegetale vuol dire che c’è un motivo che ha a che fare con la sopravvivenza e con l’efficienza”.
Oggi diremmo che le piante hanno una grandissima capacità di problem solving e qui si affaccia una questione più grande, molto più lontana dalla nostra bolla cognitiva. Le piante sono intelligenti?
Se per intelligenza si intende la capacità di risolvere i problemi, così come la definisce Mancuso, si, lo sono.
“Quando una specie è stata capace di risolvere problemi per 20, 30, 50 milioni di anni non puoi pensare che sia scema”.
Ogni passaggio è perfettamente logico, l’unico modo per obiettare sarebbe restare ancorati alla nostra bolla e non voler accettare nulla pregiudizievolmente.
Una certa idea di intelligenza si sta facendo largo. Mancuso sorride, cammina avanti e indietro sul palco azzurro, gesticola, gli danno fretta, non sanno quello che fanno.
Ora c’è il salto più lungo da compiere. Nasciamo, cresciamo, viviamo e moriamo sentendoci i migliori, i più evoluti del pianeta. E se non fosse esattamente così? Se esistessero organizzazioni più evolute delle nostre da guardare, capire, studiare e magari apprendere da loro?
“Una pianta non ha due occhi quindi non vede, non ha due polmoni, quindi non respira, non ha uno stomaco quindi non digerisce, non ha un cervello, quindi non pensa. Pensiamo questo perché non è costruita come noi, perché e questo è il punto, noi crediamo di essere il meglio possibile, ce l’abbiamo proprio scolpito dentro di noi, è chiaro che noi siamo gli esseri più evoluti di questo pianeta. Noi, esseri umano abbiamo un’organizzazione gerarchica in cui c’è un cervello, un capo, per questo che lo chiamiamo capo, il capo che governa degli organi singoli o doppi specializzati in particolari funzioni, quindi un cervello che governa due polmoni per respirare, uno stomaco per digerire, due occhi per vedere, due orecchie per sentire”.
Qui si affaccia il neuroscienziato, lo studioso dell’evoluzione “Siamo costruiti così noi, il vantaggio di questa organizzazione è che ci permette di muoverci. Noi siamo animati. Questa è la nostra caratteristica e quindi l’organizzazione che vi ho descritto finora è la migliore organizzazione possibile per muoversi velocemente”.
Perché se “noi siamo una cosa così preziosa, siamo costruiti in questa maniera così schifosa che se si rompe uno solo di questi organi, moriamo?”
E se non fosse il movimento la nostra preoccupazione? Se volessimo resistere nel tempo, cosa dovremmo fare? Dovremmo essere piante.
“Quando dobbiamo costruire una cosa che deve resistere la costruiamo usando la ridondanza…le piante si sono evolute secondo un’organizzazione completamente diversa dalla nostra, hanno distribuito e diffuso sull’intero corpo quelle cose che noi abbiamo centralizzato in singoli organi. In parole più semplici non vedete occhi perché vedono con tutto il corpo, non vedete orecchie perché sentono con tutto il corpo, non vedete cervelli perché ragionano con tutto il corpo. È un’organizzazione diffusa e decentralizzata che ha da un lato una minore velocità e dall’altra una resistenza e una robustezza che non ha eguali”.
Ora non si può sfuggire alla considerazione che noi, esseri umani, non siamo stati in grado, in realtà da un certo punto in poi, di prenderci cura del mondo intorno a noi.
“Che cos’è la vita? è una questione che spesso ci sfugge perché pensiamo che in realtà la vita sia qualche cosa di estremamente comune di cui noi possiamo tranquillamente fare a meno di occuparci, perché comunque ce n'è tanta, c'è sempre stata continuerà ad esserci, in realtà la vita è il fenomeno più raro che noi conosciamo nell'universo…tutta la vita di questo pianeta sta in uno straterello minuscolo che si chiama biosfera, uno strato di 20 km al massimo. Al più da 10 km sotto il livello del mare a 10 km sopra il livello del mare. Sta tutta lì la vita che conosciamo. Restringendo, il 97% della vita che conosciamo sta in uno strato di 5 km provate a pensare a quanto è sottile questa biosfera”
E come è composta questa vita?
“Noi uomini e tutti gli animali insieme rappresentiamo solo lo 0,3% in massa della vita. I funghi, che non sono né animali né piante, sono l'1,2% Poi ci sono le piante l'87% della vita in peso e poi la restante parte sono microrganismi”.
Quindi non serve un neuroscienziato per comprendere che siamo irrilevanti. Se dovessimo mettere tutti gli 8 miliardi di persone uno accanto all’altro riempiremmo un quadrato di appena 17 chilometri, insomma tutta l’umanità occuperebbe una città come Andria. E se ci disponessimo in un cubo? Ne basterebbe uno di 800 metri per 800.
Una inezia.
E allora perché non ce ne rendiamo conto?
Per una cosa chiamata “Cecità alle piante, un malfunzionamento del nostro cervello. Noi siamo ciechi alle piante, non le vediamo. Altrimenti non ci coglierebbe così impreparati la notizia che le piante rappresentano l'87% della vita. È tanto non lo puoi nascondere. Noi non le vediamo e soprattutto quando le guardiamo, sono così terribilmente diverse da noi che non possiamo pensare che questi esseri così diversi da noi abbiano caratteristiche particolari e speciali che noi associamo all’essere umano o agli animali. In una parola non crediamo assolutamente che gli alberi e le piante possano essere intelligenti, possano essere in grado di percepire il mondo, possano essere in grado di risolvere problemi e questo è un errore enorme”.
Errore che ci ha portato negli ultimi duecento anni a tagliare due terzi degli alberi che esistevano su questo pianeta, 2000 miliardi di alberi, una quantità grande una volta e mezzo il territorio degli Stati Uniti. Il numero degli animali si è dimezzato, gli anfibi dal 1970 ad oggi si sono ridotti del 91% e il 97% dei mammiferi presenti sul pianeta terra sono uomini e animali che noi alleviamo per il nostro consumo alimentare. Nessun dato di qualche associazione ecoterrorista ma numeri diffusi dal report sulla biodiversità dell’Università di Cambridge nella Dasgupta Review.
Cosa resta di questa casa comune della vita?
Restano i materiali sintetici prodotti dall’uomo, che dal 2022 hanno superato la vita intesa in tutte le sue forme. Cemento, asfalto e plastica ci hanno sostituti con buona pace di chi continua a credersi il migliore sul pianeta.
www.pressinbag.it è una testata giornalistica iscritta al n. 10/2021 del Registro della Stampa del Tribunale di Bari del 10/05/2021.
Per qualsiasi informazione o chiarimento non esitare a contattarci scrivendo ai seguenti indirizzi