Sono quasi sempre bambine dagli occhi grandi, enormi, dove dentro si leggono le inquietudini del mondo. Feroci, cattive a volte, sognanti.
Le immagini sembrano avvolte in una nuvola di nebbia e rugiada, opera sapiente delle mani di Yoshitomo Nara che stratificano i colori e poi li cancellano ripetutamente.
L’artista, uno dei maggiori esponenti dell’arte pop giapponese, mette su carta i conflitti dell’animo umano. A chi gli dice che le sue bambine sembrano cattive, lui risponde che è la società ad essere cattiva con loro, che devono solo difendersi. Sono quindi specchio dei malesseri contemporanei, un diffuso essere passivo-aggressivo nei confronti dell’altro.
In una intervista ad ArtNews ha dichiarato un cambio di passo con il passato quando il suo lavoro era frutto di un rapporto più istintivo e diretto con il foglio bianco, “ora mi prendo il mio tempo, lavoro lentamente e costruisco tutti questi livelli per trovare il modo migliore…Quando lavoro in questo modo, c’è molto più di una conversazione che ho con l’immagine, o con la persona raffigurata nell’immagine. Sono davvero io che ho una conversazione con me stesso. Mi permette di far emergere parti di me di cui non sono nemmeno consapevole che esistano. Quindi, quando dico “pensare”, non intendo pensare per qualcun altro, ma per me stesso, capendo davvero chi sono e cosa sono. Il pensiero me lo fa capire. Questa è la parte del processo creativo in cui sono coinvolto ora”.
Fumano, hanno denti da vampiro, impugnano piccoli coltelli, hanno un ghigno crudele sulle labbra. Al contempo sono piccole e indifese.
Sempre in bilico tra inquietudine e pace assoluta. Tra bene e male.
I suoi lavori sono una continua introspezione lenta e meditabonda. Ama osservare il cielo di notte, quando “La travolgente solitudine di quei momenti si trasforma in piacere”.