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Ospedale delle bambole, fine vita mai

Ospedale delle bambole, fine vita mai

Varcare la soglia del portone di un vecchio palazzo, bambini accompagnati da curiosi genitori, bambole in mano, aspettano che apra la porta.

Nella piccola corte tra i vicoli di Napoli si attende apra l’ospedale delle bambole, luogo di ricovero e cura, per chi è compagno inseparabile di giochi e vita. Tra le pareti che odorano di vecchio il reparto degenze è pieno di piccolo pazienti che attendono le dimissioni, il ritorno a casa, affetti familiari.

I giocattoli della memoria, le bambole che hanno mosso i primi passi, Cicciobello, peluche di ogni tipo guariscono dalle loro patologie qui, in questo luogo magico. Una bambola ricorda Silvia che camminava e un minuscolo disco le donava il verbo “ciao ti voglio bene”, più in là un orsetto rosso aspetta l’oculista che gli restituisca un occhio. L’ecografo scannerizza il corpo ed un cuore che batte, sempre, perché in questo Ospedale delle bambole non esiste l’obitorio, i ricordi non scompaiono restano a volte forse confinati in meandri sconosciuti per poi affiorare ad un tratto con violenza inaspettata.

Dal 1800, di padre, in figlio, in figlia l’ospedale cura, recupera ricordi, restituisce umanità. I pazienti di questo ospedale sanno che la lunga lista di attesa non pregiudica il loro stato di salute, sanno che infine la guarigione ci sarà e potranno tornare da quanti li hanno amati e amano ancora.

Un rarissimo nonno di Cicciobello è pronto per le dimissioni, lui rarità guarda dietro i suoi occhiali lo stupore di quanti ricordano solo suo nipote.

In ogni angolo di questo luogo, in via San Biagio dei Librai, c’è la poesia dell’infanzia mai persa, c’è la vita e il battito intenso del cuore.

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