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L’ora nostra della sera

L’ora nostra della sera

Nelle sere d’estate, umide e afose, abbandonare pianure con cappe velate nel cielo blu a nascondere bagliori di stelle, spostarsi in collina.

Paesi più freschi accolgono il visitatore in cerca di un oasi di pace, di uno spazio in cui è possibile distinguere gli astri anche se seduti su una panchina il legno dinanzi un palazzo. Trovare sollievo nell’essere soli tra tanti. Attendere che tutto taccia, attendere “La Sera” descritta da Rainer Maria Rilke. “Come una indefinibile fata d’ombre…/Vien da lungi la Sera, camminando/ per l’abetaia tacita e nevosa./Poi, contro tutte le finestre preme/le sue gelide guance e, zitta, origlia!/Si fa silenzio, allora, in ogni casa./Siedono i vecchi, meditando. I bimbi/ non si attentano ancora ai loro giochi!/ Le madri stanno siccome regine./ Cade di mano alle fantesche il fuso./ La Sera ascolta, trepida pei vetri:/ tutti, all’interno, ascoltano la Sera”.

Fosse gelida questa aria non occorrerebbe inseguire frescura, e qui nel paese che osserva il mare dall’alto, con distaccata disinvoltura, le luci raccontano altre storie, di blu cobalto. Ci sono ore per tutti e “l’ora nostra”? “Sai un’ora del giorno che più bella/sia della sera? Tanto/più bella e meno amata? È quella/che di poco i suoi sacri ozi precede;/l’ora che intensa è l’opera, e si vede/ la gente mareggiare nelle strade;/ sulle mole quadrate delle case/ una luna sfumata, una che appena/discerni nell’aria serena”. L’ora nostra non è quella di Umberto Saba.

La nostra è quella del ritorno, discese su tornanti che portano al mare, il litorale ormai deserto in cui si ascolta solo la voce dell’acqua contro la scogliera.

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