Ritrovarsi sotto un’arco, fucsia, aspettare il via scandito dal conto alla rovescia di quindicimila voci all’unisono, tre, due, uno e andare.
Andare, oltre l’arco, per le vie. Correre, passeggiare, segnale di presenza che è vicinanza, condivisione.
Zainetto in spalla, maglia bianca, lungo il percorso, e ancora prima sui marciapiedi per raggiungere il villaggio Komen. Sorride il sole tra le nuvole gialle, cariche di sabbia, trascinate qui dal vento di scirocco.
Tre, due, uno, via, le maglie rosa delle donne che hanno o hanno avuto un tumore al seno sono note di emozione, consapevolezza, speranza, gioia nell’essere fra le strade con un famigliare, un’amica, i figli, un compagno, e non temere il vento, che soffia il suo tempo.
Lungo il percorso altre maglie si uniscono, tagliare il traguardo è come vivere, passare ad una nuova esperienza, nel bagaglio i ricordi di ciò che non si vuole dimenticare, nello zaino i sogni ancora da realizzare.
Sul palco i vincitori ritirano premi immaginari, nella folla di maglie che si mischiano il premio è riconoscersi. Nel cielo due palloncini, in memoria di coloro alle quali il vento ha tolto il tempo, volano leggeri per altre mete oltre la coltre delle nuvole gialle di sabbia.
Il ritorno alle proprie auto, alle proprie case, è il prolungamento della passeggiata iniziata la mattina. Zaino in spalla, una madre con i figli accanto torna al quotidiano. Vivere è come avanzare passo dopo passo controvento. La Race for the cure non è una corsa, è solo una rosea speranza.