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Giorno e sera di marzo, visioni di Alfonso Gatto

Giorno e sera di marzo, visioni di Alfonso Gatto

Venerdì, la pioggia battente di ieri ha lasciato dissetata la terra, dopo un inverno avaro di piogge e di freddo. Il terzo mese dell’anno annuncia la primavera.

Gli alberi di mandorlo sono fioriti da tempo e il trifoglio giallo colora le campagne e i bordi delle strade, l’albero di Giuda resta ancora indeciso se regalare la sua fioritura o attendere  che il sole sia ancora più caldo.

Marzo la primavera che incombe restia forse ad apparire prima che sia calato il gelo, quello vero.  “Arda nell’aria l’aria che riprende il volto e lo decide nel soggólo del bavero, apparso tra le tende il bambino rifulga nel suo volo di tramontana a correre nel cielo, la rondine che torna col suo lume di vespero sul petto stride al gelo di marzo, ne tintinna tra le piume. E nel fragore delle ghiaie il mare alle sponde nevate tiene il duro silenzio dell’azzurro, così appare verde nell’oro della luce un muro. Di sole le ombre riverenti insieme nello scaldarsi chiedono a quel volo un senso al tempo che ciascuno teme. Solo con tutti chi per tutti è solo, a passo a passo infervorato coglie la sua mesta speranza dal lontano cielo che annuncia gioventù, le foglie, la nuova rosa del tepore umano”, scriveva Alfonso Gatto.

Marzo con le sue sere, nelle quali il sole caldo mattutino è un ricordo infilandosi dentro un piumino, quando le stelle non bastano a fare compagnia alle solitudini. “Fu in quel tempo di marzo che nel cielo guardando alla città di sera, al volo delle sue prime rondini, più solo mi vidi, ma con tutti. Come a un gelo dischiuso dal tepore, gli occhi fissi all’accadere di quel mutamento, ricordavo nel vivere che vissi. E distratto così nel farmi intento al mio segreto sorgere dal nulla, trovavo nella voce le parole da raggiungere, padre, madre, culla, la terra che s’illumina nel sole. Nel cielo di Milano d'agro e d'oro nella sera di marzo, per l'oriente affacciata a guardare era la gente della mia voce e del mio volto, coro di povertà che invoca dalle cose il suo nome perpetuo. Non rispose l'azzurro che vedevo farsi oscuro presentimento, non rispose il muro”, scriveva Alfonso Gatto. Milano è lontana da quel mare in cui Bari si specchia e ritrova l’umore del cielo.

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