Visioni d'insieme

La storia del verde

La storia del verde

Un verde portato dal vento come gli steli degli Iris di Van Gogh. Un verde lussureggiante e onirico come le aiuole di Monet.

Un verde intenso e rivoluzionario come il campo di papaveri di Merse. Un verde che sa di tempesta come il faro di Kirchner.

La storia del verde è la storia di un colore che non si è fatto facilmente ingabbiare, per secoli gli artisti e i tintori hanno cercato di ricrearlo, renderlo stabile, ma lui sfuggiva ad ogni abilità. 

Amato ma irragiungibile. Si faceva ammirare in natura ma non si faceva possedere come il più terribile degli amanti. 

Verde era il giardino dell’Eden, il paradiso per i musulmani e quindi di verde nel Corano sono gli abiti, le carte, i divani. Per contraltare fu associato al diavolo dai cristiani durante le Crociate, proprio perché sacro per i loro nemici. 

Ha nei secoli vissuto momenti di grande amore alternati a momenti di oblio. Quando il medico Pierre Ordinaire formulò la versione moderna dell’assenzio (già in uso tra i greci e i romani) mescolando genepì, anice, maggiorana selvatica e finocchio, il successo fu tale che l’ora in cui tutti bevevano assenzio fu chiamata l’ora verde, per quel suo colore brillante ed ipnotico.

Il verde è sempre stato il colore della primavera, la nascita delle prime gemme, delle nuove foglie che ridavano vita ai rami morti dell’inverno e a maggio era usanza comune di s’esmayer, indossare il maggio, una ghirlanda in testa o un abito verde e chi si sottraeva a questa usanza, i pris sans verd, venivano derisi e sbeffeggiati. Anche la dea dell’amore tedesca Frau Minne era vestita di verde.

Colore universalmente legato alla giovinezza, alla bellezza, all’amore, ma anche un colore capriccioso, seduttore, allegro, vivace e rivoluzionario.

E solo per una questione di antipatia il verde non è stato simbolo della rivoluzione francese. Il 12 luglio del 1789 in una piazza parigina gremita di gente l’avvocato Camille Desmoulins, durante un’arringa, afferrò una foglia di tiglio e la infilò tra i capelli e invitò tutti a farlo. Fu quello il primo simbolo dei rivoluzionari francesi, presto sostituito da una coccarda sempre verde, diventata poi azzurra bianca e rossa solo quando i rivoluzionari si accorsero che era verde anche la livrea dell’odiato conte d’Artois fratello di re Luigi XVI.

La verde Irlanda di San Patrizio è verde perché il santo utilizzava un trifoglio per spiegare ai fedeli la santissima trinità.

Verde è il colore di uno degli amori più celebrati nella storia, quello di Tristano e Isotta, osteggiato a tal punto che i due amanti dovettero ricorrere alla magia per sopravvivere, bevendo vin d’herbé, un miscuglio di valeriana, verbena, artemisia e iperico, naturalmente verde.

Un colore capriccioso che non si è concesso facilmente ad artisti e tintori. 

Nel Medioevo i malvisti alchimisti mescolavano, univano, trasformavano sostanze e in egual modo tentavano di fare i tintori con i colori. Ma per legge fu loro impedito. I tintori specializzati nel blu e nel nero non potevano utilizzare pigmenti rossi e gialli. Men che meno creare il verde unendo il giallo e il blu, pena esorbitanti multe o addirittura l’esilio. 

Ignari della bellezza delle sfumature.

Ma la sfida di ricreare quel colore pieno e brillante che la natura faceva sbocciare in ogni dove è stato il cruccio di tanti. Ci provarono anche gli artisti e Paolo Veronese, ci riuscì unendo tre diversi pigmenti stesi in due strati e poi per evitare la reazione di due pigmenti vicini tra loro, isolava le aree verdi. Il suo colore era brillante e bellissimo, anche se nei secoli, in alcuni punti, la luce ha trasformato quel magnifico colore in uno spento marrone. Ci fu poi il verde linfa del quadro Ritratto dei coniugi Arnolfini, ottenuto con due bagni di colore nel guado e nella luteolina. Un colore che incantò talmente tanto il popolo da volerlo ricreare su tutto. La mescolanza però era ancora illegale e nel 1386 il tintore Hans Tollner fu denunciato per aver osato mescolare due colori per ricrearlo.

Nonostante il suo essere sfuggente, inafferrabile ed elusivo, il verde è sempre stato legato a grandi poteri e virtù. I romani credevano che facesse riposare la vista così polverizzavano gli smeraldi per ricavarne una pomata per occhi. L’imperatore Nerone fece di più, inventando i primi occhiali da sole, utilizzando dei grandi smeraldi che filtravano la luce ai suoi delicati occhi regali.

Il verde è stato per molti un’ossessione. Nel 1779 lo scienziato svedese Carl Wilhem Scheele, era intento a studiare le caratteristiche dell’arsenico. Si imbatté nel composto dell’arsenito di rame che aveva un colore ipnotico. Lasciò i suoi studi iniziali e iniziò a produrre quel colore magnifico. Tutti se ne innamorarono a tal punto che nella sola Inghilterra si arrivò a produrne ogni anno una quantità di verde Scheele che oscillava tra le 500 e le 700 tonnellate. Divenne il colore imperante in tutta la nazione. Era ovunque, sui vestiti, sulle tende, sulle carte da parati, sui mobili, persino sui confetti. Sin quando non iniziarono a morire un certo numero di persone con i sintomi tipici dell’avvelenamento e si scoprì che 6 centimetri di tappezzeria verde Scheele conteneva tanto arsenico da uccidere due persone.

Altro intoppo pratico per un colore indomito.

 

Il mondo dovette a malincuore abbandonare il verde Scheele per innamorarsi del verde Celadon, nato da un racconto di Honoré d’Urgé che scrisse la triste storia di un pastorello con una cappa verde o meglio di una “sfumatura acquamarina color nebbia nella foresta”. Inutile dire che era destinato a diventare pura magia che incantò l’Oriente.

La stessa identica sfumatura fu infatti utilizzata per decorare le porcellane della dinastia Song. 

Può un colore rapire gli animi della gente? Quel colore si. Le porcellane celadon travalicarono i confini per raggiungere il Giappone, l’Egitto e anche la Turchia dove si arrivò a credere che quella particolare tonalità di verde avesse il naturale potere di annientare ogni veleno. Ancora oggi si può ammirare la vasta collezione di porcellane celadon al Palazzo Topkapi di Istanbul. E questo alone mistico che lo avvolse superò ogni immaginazione quando una sua variante di sfumatura, il Mi Se (colore misterioso) diede vita ad una altra serie di porcellane che nessuno tranne la famiglia reale avrebbe mai potuto vedere. 

Si parlava in tutto l’impero di quel colore ammirato per un attimo dal poeta Xu Yin che era come “estrarre la luce della luna per dipingere lo scorrere delle montagne”.

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