E se lui proprio lui, in un meriggiare pallido e assorto avesse svogliatamente lasciato quel libro sulla scrivania?
La penna chiusa con il suo cappuccio, il quaderno intonso e chiuso.
E avesse ripetuto quella volontà per una, due, tre volte, sarebbe arrivato anche lui, annoiato e incredulo al risultato finale di una insufficienza. Comune a ogni studente, cosa sarà mai l’esito di un po’ di svogliatezza? Ma se lui fosse Eugenio Montale, quell’unico cinque, in chimica, alla fine del primo trimestre, dell’ultimo anno di scuola sarebbe stato una macchia indelebile sulla sua futura grandezza di premio Nobel. Si sarà sentito come nei suoi verso “E senti allora, se pure ti ripetono che puoi, fermarti a mezza via o in alto mare, che non c’è sosta per noi, ma strada, ancora strada e che il cammino è sempre da ricominciare”.
Ricominciò spavaldo, sicuro di non cedere alla noia, alla pigrizia, all’indolenza, alla mediocrità. E brillò, lui che di sé scriveva “sono abituato a cibarmi di nuvole e lontananza”.
Si cibò di libri, come per tutto il resto della sua vita. Concluse l’anno con un 9 in italiano scritto, 8 in italiano orale, 8 in inglese e francese, 8 in fisica, economia politica, storia e calligrafia. Un 7 in diritto civile e tre comuni 6 in chimica, computisteria e ragioneria. Fuori dal comune ma infondo come ogni altro studente, un misto di passione e indolenza impastati in un panetto compatto. Inscindibili. E se l’ago della bilancia dovesse pendere ai nostri occhi verso quel voto indegno, sarà Montale a riportarci in alto ricordandoci che una insufficienza potrà segnarci, ferita di un ego non ancora formato, ma poi come per lui, arriverà il capolavoro e anche noi come lui “Ho sceso dandoti il braccio, almeno un milione di scale e ora che non ci sei è il voto ad ogni gradino”.