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La tempesta nel bicchiere

La tempesta nel bicchiere

Il bicchiere era sul tavolo, colmo d’acqua. La finestra aperta. Lo sguardo si perdeva nella valle come a coprire distanze non determinabili.

D’improvviso il cielo divenne più scuro, alberi ed erba assunsero pose inusuali mosse dal vento. Una leggera presenza parve muover l’acqua nel bicchiere. Pochi minuti e la tempesta si abbattè in una giornata estiva senza un preavviso, senza alcun segnale.

“Con un suono di corno/ il vento arrivò, scosse l’erba:/ un verde brivido diaccio/ così sinistro passò nel caldo/ che sbarrammo le porte e le finestre/ quasi entrasse uno spettro di smeraldo:/ e fu certo l’elettrico/ segnale del Giudizio./ Una bizzarra turba di ansimanti/ alberi, siepi alla deriva/ e case in fuga nei fiumi/ è ciò che videro i vivi./ Tocchi del campanile desolato/ mulinavano le ultime nuove./ Quanto può giungere,/ quanto può andarsene,/ in un mondo che non si muove!”, scriveva Emily Dickinson descrivendo una tempesta improvvisa arrivata a cambiare le forme e la sostanza degli uomini.

Dopo la furia tutto tace esattamente come prima, sono i colori a cambiare, le vibrazioni che salgono dalla terra raccontano esperienze già vissute. Allo sguardo invece tutto appare nuovo, inconsueto, terrificante, come le tenebre intraviste tra le fessure delle porte serrate. Potrà restare un ricordo pronto a dissolversi nel tempo, per poi tornare all’improvviso in un mattino d’autunno.

Il bicchiere era sul tavolo, colmo d’acqua. La finestra aperta. Lo sguardo si perdeva nella valle come a coprire distanze non determinabili.

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