Visioni d'insieme

Anna dai capelli rossi

Anna dai capelli rossi

Anna dai capelli rossi, un nido non ce l’ha, ha due grammi di felicità chiusi dentro all’anima e al mondo vuol sorridere.

Ma chi è Anna, il personaggio nato dalla penna di Lucy Maud Montgomery? Era poco più di una ragazzina di una bellezza sconfinata che tutti hanno cercato di possedere e poi rovinare, imbrattare e distruggere. Era Evelyn Nesbit, figlia di un facoltoso avvocato, morto prematuramente. Con la madre e il fratello si trasferirono in una stanzetta a New York e lei ancora adolescente iniziò a fare la modella. Era una delle più famose Gibson Girl, la sua immagine disegnata a inchiostro dall’illustratore Charles Dana Gibson, con i lunghi capelli rossi sistemati a punto interrogativo, The eternal question, divenne talmente celebre da rendere Evelyn la prima vera modella della storia e una delle donne più desiderate d’America. Magari anche lei immaginava la candida via della gioia e il lago delle acque lucenti, ad abbagliarla erano i lussi di quell’America di inizio secolo. Divenne ballerina di fila a Broadway e non era ancora maggiorenne. 

Fu notata da Stanford White, l’architetto che progettò il Madison Square Garden. Donnaiolo, abituato ad avere tutto, volgare e violento. Lei aveva 16 anni, lui 47. “Anche se le ambizioni sono importanti, non sono a buon mercato, ma esigono il loro tributo di lavoro e abnegazione, di ansietà e scoramento” dice Anna dai capelli rossi nel libro di Lucy Maud Montgomery. Proprio come nella vita di Evelyn.

La madre abbagliata dal lusso e dai soldi e dalla prospettiva di sistemare l’intera famiglia, porse la figlia su un vassoio d’argento al primo uomo che fu disposto a comprarla. In cambio lui avrebbe fatto entrare il figlio Howard all’accademia militare di Filadelfia. Naturalmente chi da questo scambio ci perse fu Evelyn. Fu portata nel loft nella West 24the Street, completamento rivestito di velluto e con la celebre altalena, in velluto rosso, che pendeva dal soffitto e dove lui amava guardare le sue donne, nude, dondolarsi. Evelyn fu portata nella sala degli specchi, fatta accomodare sul divano di velluto verde. Indossava un kimono giallo. La fece bere tanto da farle perdere i sensi. Si risvegliò nuda e sporca di sangue “entrata vergine ne uscii che non lo ero più”, scrisse di quell’incontro. Deflorata la più bella di tutte, White distolse l’attenzione dalla giovane Evelyn, il giocattolo si era rotto. Lei si innamorò di John Barrymore, nonno di Drew, attore bello, giovane, aitante e alle prime armi. Le donava fiori, la corteggiava. Erano due luminosissime stelle. Lui le chiese di sposarla. Ma il bel John non era abbastanza ricco per l’avida madre di lei, che come in ogni favola che si rispetti, informò White, che ancora una volta comprò tutti con i soldi. Questa volta si trattava dell’istruzione di Evelyn, che non aveva mai potuto studiare. Fu iscritta al collegio di Beatrice DeMille, madre del regista Cecile, nel New Jersey. Nonostante fosse poco più di un gingillo per tutte le persone che avrebbero dovuto amarla, Evelyn continuava a splendere in maniera folgorante. A rimanere accecato fu il figlio di un ricchissimo magnate delle ferrovie e del carbone, Harry Kendall Thaw. Possessivo, violento, iracondo, cocainomane Thaw la convinse a sposarlo, lei accettò, aveva vent’anni, era una meraviglia che non poteva splendere da sola, anche Thaw abusò di lei, arrivò a torturarla, frustarla, picchiarla. Una sera incontrarono al Caffè Martin, celebre ristorante di New York, White che era seduto al tavolo accanto al loro. Thaw verde di rabbia tirò fuori la pistola e lo uccise. Nessun lieto fine neanche in questo caso. La ricchissima mamma di lui convinse Evelyn a testimoniare a favore del figlio, in cambio del divorzio e di un milione di dollari. Avrebbe dovuto dire che era l’amante di White e Thaw era solo un marito che aveva cercato di difendere il suo onore. Fu dichiarato infermo di mente, ricoverato per un po’ e infine rimesso in libertà. Neanche un dollaro arrivò alla piccola Evelyn che di quell’ennesimo triste e violento episodio della sua vita disse “la tragedia non è che White morì, ma che io gli sopravvissi”. Persa in un mondo in cui non riuscì a trovare amore, si spense la sua carriera, lei annegò per anni tra alcool e morfina, tentando più volte di togliersi la vita. Solo negli ultimi anni trovò pace, si disintossicò, scrisse la sua biografia e contribuì alla realizzazione del film sulla sua vita L’altalena di velluto facendo conoscere al mondo la sua storia, talmente brutta, violenta e sbagliata che si scomodò il presidente Roosevelt in persona per insabbiarla, nel tentativo di non offuscare la grandezza degli uomini coinvolti.

“Non è meraviglioso pensare a tutte le cose che ci sono da scoprire? - dice Anna dalle tante lentiggini e i capelli rossi - Mi fa sentire felice di essere viva, il mondo è così interessante. Non lo sarebbe altrettanto se conoscessimo tutto, non ci sarebbe più spazio per la fantasia”.

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