Visioni d'insieme

Che duello sia

Che duello sia

Tre affondi, il terzo raggiunge la carne trapassandola di tre centimetri. Il duello era finito. L’onore di entrambi era salvo.

Amici, letterati e giornalisti del tempo furono testimoni della stoccata finale che chiuse definitivamente la lite tra Giuseppe Ungaretti e Massimo Bontempelli.

Ungaretti non sempre prodigo di elogi verso i suoi colleghi, li criticava apertamente negli ambienti parigini. Pirandello e Bontempelli erano spesso al centro delle sue disanime. In seguito scrisse un articolo su L’italiano e un secondo, la terribile goccia che fece traboccare il vaso, su Il Tevere intitolato “Le disgrazie di Bontempelli”. Era troppo, davvero troppo per l’onore dello scrittore medaglia di bronzo al valore militare durante la Prima Guerra Mondiale, creatore, tra gli altri, del partito politico futurista, fondatore con Curzio Malaparte della rivista 900, che portò in Italia per la prima volta l’Ulisse di Joyce. Bontempelli colmo d’ira e rabbia andò al caffè Aragno, il luogo dove si ritrovavano letterati e intellettuali a Roma, si fece largo tra la folla, raggiunse Ungaretti e lo schiaffeggiò. Neanche lo spirito da indomito siciliano del poeta poteva lasciar correre l’affronto e invitò a duello il collega. 

Fu lui il portatore di sfida di un duello tra il serio e il faceto. L’onore e l’orgoglio andavano salvaguardati, almeno apparentemente. Ben venga un duello, ma con qualche divagazione dal codice cavalleresco che vietata esplicitamente la dicitura “il duello cesserà alla prima ferita, qualunque essa sia…per evitare il ridicolo e per non esporsi a gravi conseguenze penali. Il duello deve cessare quando una delle parti dichiari «la impossibilità di continuare»”.

Ma gli scrittori, si sa, con le parole amano giocare, le ingigantiscono oltre misura creando armature scintillanti dove c’è solo polvere e ombra, nessuno dei due si sarebbe mai dichiarato impossibilitato a continuare. 

L’arma scelta fu la spada e l’esito “al primo sangue”.

Si finsero cavalieri, inscenarono un duello, vietati ufficialmente dal regime, ma tollerati a condizione che avvenissero al riparo da occhi indiscreti. Il duello fu disputato nel caldo di una estate romana, l’8 agosto 1926 nel giardino della villa di Pirandello, alla presenza di fotografi e giornalisti pronti a immortalare il momento. 

Ad arbitrare l’incontro fu chiamato il maestro d’armi Agesilao Greco, il più grande schermitore del tempo. Maestro alla scuola militare Nunziatella di Napoli, disputò incontri in tutto il mondo senza mai perdere, dal 1887 al 1934. Nel mezzo, nel 1909 fondò la federazione italiana scherma.

Il saggista che scrisse “la regola di vita e d'arte per cent'anni ancora: avventurarsi di minuto in minuto, fino al momento in cui o si è assunti in cielo o si precipita” e il poeta che s’illuminò d’immenso, uno di fronte all’altro si guardarono, salutarono e diedero il via al duello.

Furono sufficienti tre colpi a Bontempelli, due a vuoto, il terzo colpì l’avambraccio del poeta. La ferita profonda tre centimetri fu prontamente medicata e l’onore di entrambi salvo. La gigantografia di uno scatto del duello fu affissa nella vetrina di una celebre libreria romana il giorno dopo con un cartello che diceva “Ecco il primo poema eroico del Novecento”.

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