Visioni d'insieme

La soglia sbarrata, la porta chiusa

La soglia sbarrata, la porta chiusa

Aver voglia di sedersi, lungo la strada, nell’ora dell’attesa, ma non sul marciapiede né sull’asfalto. Su un gradino, un pianerottolo.

Dinanzi un portone, chiuso, sbarrato. Aver voglia di sedersi lungo una strada mentre si aspetta che arrivi l’alba di un giorno nuovo che spenga il buio che ciascuno porta con se racchiuso al centro dello sterno.

Aver voglia di sedersi e pensare come prendere in mano la propria vita per portarla oltre la linea dell’orizzonte della silenziosità. Come fare rumore che svuota le cose.

Cercare un posto per sedersi. Ma anche questo è vietato dal diritto di un privato a gestire la sua soglia, di casa. Che brutto il portone in legno con il ferro a dissuadere, ad impedire che ci si possa accomodare per terra le spalle contro il delimitare dell’accesso. Sedersi diventa un miraggio mentre la notte avanza e il cornettificio abbassa serrande segnando chiusure. L’alba è ancora lontana, il buio interno cresce con l’allontanamento della visione della luna, sempre più alta, sempre meno luminosa. Satellite.

La ragione di questo ferro a questa porta è salvaguardare il legno e la soglia o semplicemente impedire un riposo, un riprendere il fiato dopo una giornata come altre passata a lottare per sopravvivere?

Cercare un’altra soglia in pietra o in marmo, sedersi e guardare il cielo scoprire all’improvviso il sereno, le stelle brillare, mentre la prima luce del nuovo giorno si affaccia decisa sul mare. Perché non sedersi qui insieme, io e te? In due l’attesa è più lieve, come un soffio di vento tra i rami di un albero a muovere le foglie.

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