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Cape di ferro, restauro per un bene pubblico

Cape di ferro, restauro per un bene pubblico

L'acqua pubblica e le radici di una città

Quando l’acqua non sgorgava dai rubinetti delle nostre case e gli acquedotti faticavano ad arrivare ovunque, c’erano le fontanelle cittadine, in ghisa o in ferro. Ognuna con il suo nome, sempre un po’ beffardo e canzonatorio, tipico carattere dell’italico modo di essere. C’erano le vedovelle milanesi, per via di quel continuo sottile sgorgare che assomigliava tanto al pianto di una vedova, i nasoni romani per quel rubinetto ricurvo su se stesso, i torèt torinesi, per il torello da cui sgorgava l’acqua e le cape di ferro a Bari, per quel cappello in ferro che le sormonta. 

Bistrattate e dimenticate quando il progresso ha portato l’acqua in ogni rubinetto di ogni abitazione urbana ed extraurbana, stanno oggi tornando ora di moda. La salvaguardia delle tradizioni dice qualcuno. Ma non c’è tradizione che tenga all’usura del tempo, si tratta sempre di mode, vezzi che vanno e vengono.

In tante città stanno cercando di rivalorizzarle, di mapparle, per renderle attrattiva turistica. In epoche in cui chiamiamo vintage un abito di pochi anni fa, fontane che hanno retto all’usura per un secolo, diventano di diritto un pezzo di storia. Così a Bari hanno deciso di recuperarle e renderle nuovamente funzionanti. Sono ottanta le cape di ferro, della città aiutate nel compito di portare l’acqua agli assetati da altre 30 fontane beverino, nulla a che vedere con le cugine nobili, loro di nobile hanno solo la  funzione.

La mamma di tutte è la capa di ferro “siamese” di piazza San Marco, così antica e di pregio che a settembre sarà la Soprintendenza ad approvare o rigettare il progetto di restauro. Dopotutto si tratta di una signora degli anni Venti, descritta come un beverino a getto continuo con due beccucci e pilozze contrapposti fra loro rispetto alla conformazione a colonna con cappelletto superiore. Naturalmente tutta in ferro e ghisa.

Il Comune ne vuole fare un simbolo dell’acqua pubblica cittadina. Un simbolo di una città che non dimentica il suo passato. Un simbolo di una città che cresce sulle sue radici. 

Restaurerà la mamma e tutte le sue figlie. Cinquantanove sono già agibili. Un progetto portato avanti da due anni. Nel prossimo futuro anche la realizzazione “di un portale dedicato che riporti la esatta localizzazione di tutte le fontane, distinte per tipologia e caratteristiche, ma anche informazioni storiche e dettagli che potrebbero risultare di comune interesse” ha detto l’assessore comunale ai Lavori Pubblci Giuseppe Galasso. Che la storia è anche questo, ricordare il passato e quando è l’acqua la protagonista, bene pubblico, cosa c’è di meglio che il restauro di una preziosa fontanina?

Ma che passato e presente non vadano sempre a braccetto è storia nota. Mai si impara da quello che è già stato. I romani hanno realizzato acquedotti in tutto il mondo, a Roma naturalmente e in tutta l’Italia, ma anche in Germania, Spagna, Turchia, Francia e Israele. C’è stato un tempo in cui li abbiamo ritenuti inutili e così dismessi. Salvo poi correre al riparo, sempre troppo tardi come siamo abituati a fare, quando nell’Ottocento scoppiarono sette pandemie di colera in Europa, sei in Italia. L’acqua pulita divenne così una necessità. Un bene da garantire a tutti. Per dissetarsi, per cucinare, per lavare. 

Poi abbiamo deciso che non doveva essere proprio per tutti, sicuramente non di chi era per strada, che sia un passante, un turista, un bambino assetato e lontano da casa, un cane. Così gran parte delle fontanelle pubbliche furono chiuse. Che la gente beva a casa propria.

Poi ancora abbiamo avuto l’ondata de l’acqua se proprio dev’essere per tutti che sia economicamente vantaggiosa per qualcuno, con le privatizzazioni della gestione degli acquedotti. Quindi per tutti e a pagamento.

Poi c’è stato chi si è indignato. L’acqua è pubblica ed è di tutti. Pubblica gestione e riaprire le fontanelle. Che poi i quattrini si possono fare anche con il flusso turistico che reperti storici del secolo scorso possono portare. Dopotutto gran parte delle fontanelle sono state installate negli anni Venti.

Ora siamo in una fase ambivalente. In un Paese ricco di personalismi come pochi, c’è chi stabilisce il divieto di bere “a canna”, quindi per favore portatevi un bicchiere o voi che camminate per strada, non è modo di bere direttamente dalla fontanella, si degradano le città.

Chi, addirittura a Roma, stabilisce che no, i nostri cani non son degni di bere l’acqua che sgorga dalle fontanelle pubbliche. Neanche li che la storia si respira camminando, ci si ricorda di quello che è successo quando l’acqua non era pulita, pubblica e a disposizione di tutti.

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