La città non dorme ancora, tra chi mangia ad un tavolino in una calda sera di fine primavera, chi cammina raccontando di ieri, oggi e domani,
chi guarda seduto il mare su una panchina, senza null’altro di necessario e poi lui, nella sua piccola barca di legno. Un pescatore in città, resiste a un mondo che non gli appartiene e con calma e pazienza libera i pesci argentei infilati nella sua rete. Riuscirà a cenare, c’è pesce a sufficienza per sé e per la famiglia. Magari un ciambotto. Gli occhi stretti di chi è abituato a guardare il mare in lontananza per scorgere orizzonti diversi da quello visibile. Li stringe anche per quel piccolo pesce argenteo. Fessure. Le auto corrono veloci, i grandi palazzi della politica sono a pochi passi, ma lui resta lì nel suo mare, fatto di giorni che si alternano senza foga, ingordigia o indifferenza.
Il suo gozzo di legno ha resistito al mare in burrasca, resiste ai venti e alla salsedine che si porta via l’azzurro delle travi, ma la bellezza eterna di questa piccola lanze è intatta, a stridere sono le barche a vela e i motoscafi sullo sfondo che sfoggiano il loro sorriso smagliante senza tempo, profondità, verità. Si fa cullare dal mare tra il teatro che è nato sull’acqua e il molo N’ dèrr’a la lanze, dove i pescatori gettavano il pesce pescato per mostrarlo ai possibili compratori. Chi non ha storia non chiama le cose con il loro nome. Lucida le superfici cercando di togliere attriti, ruvidezza, tutto deve scorrere via, senza indugio.
La solidarietà sociale è un dovere, è scritto. Lo sa anche quel pescatore. Né poco, né troppo. Il giusto. Girando lo sguardo altrove non è così, ma lì in quell’angolo di mare c’è ancora speranza.