Tondo come il mondo, fatto di spine come il peccato, sorprendente come un fiore che nasce senza la delicatezza di una foglia che lo accompagni.
Una nenia d’amore sboccia tra le corde di una chitarra, le note lente come un cuore che fatica a battere “e il suo cuore è pieno e vuoto come un albero di cactus mentre lei è così impegnata ad essere libera” cantava Joni Mitchell di un amore non corrisposto.
Tra le spine di una pianta tonda che si difende dal mondo con i suoi aculei, spunta un fiore, bianco, puro e semplice che viene da lontano come “Gli arcobaleni d’altri mondi hanno colori che non so. Lungo i ruscelli d’altri mondi nascono fiori che non ho” come ci ricorda Fabrizio De André.
Non profuma di rosa, non ha la nobile delicatezza di un’ortensia, ma lancia un messaggio al mondo, un manifesto di bellezza che resiste a tutto. “Persino il brutale cactus mette teneri fiori” scrisse Truman Capote in una torrida estate siciliana. E per risposta alla brutalità di spine e ferite, il fiore canta, tenero e irriverente. Nessuna sfida alla sua resistenza, nessuna prova al suo coraggio. Nessun tentativo di vincerlo. Bruto appare ma è solo un’immagine riflessa. Si fa beffa di chi lo considera tale.
Pungimi e stuzzicami, ma incantami e sorprendimi. Perché so credere che ci sia un fiore anche per me. Che spunta inaspettato, senza possibilità alcuna, in uno scenario di rose e di spine, non voglio petali delicati, ma un cactus tondo come il mondo. Forte, autentico e capace di meraviglia.
“Vuole ballare Preferirei camminare sui vetri. Se continua così mi fa suo!” battibeccavano Walter Matthau e Ingrid Bergman nel film di Gene Sacks Fiore di cactus. Ed è così tra ironia e amore, in bilico tra una puntura di spina e il respiro di un fiore che si muove il cactus, tondo come il mondo.