Un papillon, segno distintivo che la serata non è in una piazza ma in un teatro, Apollo, a Lecce, per un concerto che è un omaggio alla lingua,
il dialetto, e alla poetica dei testi della tradizione popolare. Antonio Amato entra in scena in una veste inconsueta, abbandona il carisma travolgente dei concerti negli spazi per le grandi folle nei quali i ritmi della pizzica accompagnano gli acuti, per tornare ad una dimensione più intima. L’apertura è affidata alle voci del coro Ali di riserva diretto da Sergio Filippo con Lu ruciu de lu mare, poi Antonio Amato intona Beddha ci stai luntano, tiene le note basse sui lamenti per poi aprirle nel finale. Dodici brani che celebrano l’Ammore. Dodici brani nei quali Antonio Amato canta le poesie della tradizione, se io avessi carta e penna al mio amore scriverei con note profonde e più delicate sui versi questa è la strada delle rose rosa, poi intona Aremu in grico e si concede un duetto su Damme nu ricciu con Francesca Profico. Trasforma La Cesarina in un canto d’amore omettendo la strofa comune a molte versioni della tradizione salentina e lucana che ne fecero una canzone contro il governo degli anni Quaranta. Poi il suo cavallo di battaglia La cardilleddha e l’omaggio a Tito Schipa con Quannu te llai la facce la matina. Ed ancora Beddra ci dormi e La Fortuna. Omaggia Uccio Aloisi con Vorrei volare. Sul palco con Antonio Amato i musicisti Nico Berardi ai fiati, Roberto Gemma alla fisarmonica, Antonio Marra alla batteria, Valerio Rizzello alle tastiere, Mario Esposito al contrabbasso, agli archi le musiciste Asia Macchia, Celeste Macchia e Giorgia Causo. Eleonora Gemma alla danza.
Il pubblico riserva la standing ovation all’interprete della musica popolare e lui Antonio Amato intona un bis Calinitta e poi si concede, per foto e selfie, nel foyer del teatro ai suoi fan che lo seguono nelle piazze e nei teatri.
Antonio Amato resta genuino, il papillon per la serata è il nodo che trattiene la sua voce nei rigidi arrangiamenti delle nuove versioni, eppure quando la lascia andare domina lo spazio riempiendolo, toccando note emotive che albergano nell’ascoltatore. Non si dà arie Antonio, nonostante il teatro gremito, lui conosce il valore del lavoro, non si professa esperto o scienziato della materia, lui occupa lo sgabello sul palcoscenico nessuna poltrona immeritata. È questo che arriva al pubblico, l’amore per chi semplicemente è, l’uomo e l’interprete, l’artista.