Solo quando fu riconosciuta all’uscita di un teatro dal più grande di tutti si sentì pronta a comporre i suoi versi.
Maria Luisa Spaziani aveva 27 anni, alle spalle l’appoggio del padre, ricco imprenditore torinese e due riviste letterarie fondate con un gruppo di intellettuali, I quaderni del girasole prima e Il dado dopo, sulla quale pubblicò opere inedite di Saba, Penna, Pratolini e Virginia Woolf.
Fu inviandole un capitolo del suo ultimo libro Le onde, che Woolf soprannominò Spaziani “la piccola direttrice”, appellativo che le rimase addosso tutto la vita.
Quel giorno di gennaio del 1949, quando incontrò per la prima volta Eugenio Montale, il suo interno volere prese forma. Divenne una poetessa. Lui era già l’autore di Ossi di seppia, lei aveva un tumulto che conteneva a stento. Quell’incontro fece traboccare il vaso, i versi iniziarono a fluire.
Quello stesso anno fu inserita nell’antologia Poeti scelti, curata da Ungaretti. Nel 1953 volò a Parigi con una borsa di studio per la Sorbona, Montale la raggiunse come inviato del Corriere della Sera. Trascorrevano il tempo libero passeggiando sulla Senna, l’appuntamento, ogni giorno, era sul ponte del Louvre. La loro, fu “un’amicizia amorosa” come la definì Spaziani, lui nell’arco della vita le scriverà 360 lettere ora conservate nell’archivio di Maria Corti.
Nel 1954 Mondadori pubblica la sua prima raccolta di poesie Le acque del sabato, nella collana Lo Specchio. È la consacrazione.
Calvino di lei disse “Maria Luisa Spaziani, un raro caso di poeta che sia insieme ispirato e spiritoso”.
Quando l’appoggio finanziario del padre viene meno, per il tracollo economico della sua azienda, Spaziani torna sulla terra, dopo aver fluttuato a mezz’aria per tutta la vita. Inizia a lavorare in maniera stabile come insegnante di francese in un collegio torinese.
La poesia continuava a fluire libera in lei, su di lei, fra le trame del suo essere. Anche quando si sposa, il suo testimone è un poeta, Alfonso Gatto. Non c’è altro. Solo la poesia.
“Anche le stelle ascoltano, gli azzurrognoli soli/in eterno ubriachi di pura solitudine./Perché questo Tu sei, piccolo Dio che nasci/e muori e poi rinasci sul cielo delle foglie:/una voce che smuove e turba anche il cristallo,/il mare, il sasso, il nulla inconsapevole”.
La sua lirica è ampia e il dubbio di non essere è sempre dietro l’angolo “L’indifferenza è inferno senza fiamme,/ricordalo scegliendo fra mille tinte/il tuo fatale grigio./Se il mondo è senza senso/tua solo è la colpa:/aspetta la tua impronta/questa palla di cera”. Tra gli infiniti grigi di cui si tinge l’umanità lei vuole essere colore. Ma il timore di essere fagocitata in quella macchia senza vita, senza emozioni è sempre lì “Strappami dal sospetto/di essere nulla, più nulla di nulla./Non esiste nemmeno la memoria./Non esistono cieli./Davanti agli occhi un pianoro di neve,/giorni non numerabili, cristalli/di una neve che sfuma all’orizzonte/– e non c’è l’orizzonte -.”
Per tre volte è stata candidata al premio Nobel per la letteratura, nel 1990, 1992 e 1997. Non vinse mai, ma la cifra stilistica della sua poesia, la affiderà ad una nota a margine dell’antologia Tutte le poesie “Tutti i miei titoli sono state immagini o metafore per poesia. Poesia significa infatti contemplare da un privilegiato punto di osservazione ciò che scorre e passa, tessere favole sulla memoria più o meno involontaria, complicità, riscatto, metamorfosi, trovarsi in perfetta calma al centro della confusione, fino al trasparente Transito con catene e al più emblematico di tutti: Geometria del disordine, che esprime il tentativo, ancora, di ordinare su una cifra espressiva il caos dell’esistente”.