Aveva solo sette anni quando fu rapita dal mercante di schiavi Timothy Fitch e portata sulla goletta del capitano Peter Gwinn.
Phillis Wheatley divenne schiava, suo malgrado e portata a Boston nel 1761 a bordo della nave negriera Phyllis che le lasciò, a memoria di quel viaggio, il nome. Fu comprata da un sarto e da sua moglie, John e Susanna Wheatley che a dispetto dell’averla acquistata come uno scampolo di stoffa, la incoraggiarono a studiare. Il figlio, Nathaliel fu suo tutore, le insegnò il latino, la storia, l’inglese, la geografia e la religione. Phillis era brillante, sapeva indugiare sulle parole e giocarci, facendole ballare come in valzer. Iniziò a scrivere poesie, la famiglia la sostenne, le prime furono pubblicate sui giornali.
Il settimanale Newport Mercury, fondato da Ann Smith Franklin, cognata di Benjamin Franklin, pubblicò la sua prima poesia On Messrs Hussey and Coffin era il 21 dicembre 1767, aveva solo 14 anni.
I versi si susseguivano, le poesie divennero 28, raccolte come se potesse essere possibile darle alle stampe. La famiglia Wheatley si prodigò per aiutarla.
“Lo scettro di piombo della notte sigilla i miei occhi assonnati, poi cessa, o mio canto, finché non sorge la bella Aurora” scrisse in una delle sue poesie.
Troppo auliche per essere composte da una schiava. Dubitarono di lei, tentarono di screditarla, una commissione composta da 18 membri la mise sotto esame, per valutare se fosse veramente lei l’autrice di quelle poesie.
Tra gli altri furono chiamati John Erving, il reverendo Charles Chauncey, John Hancock, il governatore dello stato Thomas Hutchinson e il suo vice Andrew Oliver. Phillis non fu intimorita né cadde nell’agguato.
Non poterono che attestare la veridicità delle sue parole e le rilasciarono un attestato. Non bastò quel foglio di carta a darle l’autorevolezza che meritava.
Nessun editore di Boston volle pubblicare il libro di una schiava nera. I Wheatley non si arresero, sarebbe stato un peccato mortale sprecare tanto talento.
Susanna Wheatley pensò all’altra sponda dell’oceano, nella speranza di un mondo più giusto. Pagò il viaggio per Londra e Nathaliel la accompagnò.
Quei lunghi giorni in mare le ispirarono i versi di Oceano “Il Re delle Tempeste tuona sulla pianura,/ e disprezza il monarca azzurro del mare,/spazza la superficie, fa ruggire le onde,/ e furioso, frusta la riva rumorosa e rimbombante”
Fu a Londra nel settembre 1773 che le 39 poesie di Phillis videro la luce nel libro Poems on Various Subjects, Religious and Moral, la prefazione era l’attestato della commissione. Fu il primo libro di una persona afroamericana dato alle stampe.
Phillis divenne famosa in tutto il mondo, vollero conoscerla Benjamin Franklin e George Whasington. La famiglia le concesse la libertà, ma lei volle rimanere con loro sino alla morte del padre.
Senza la protezione della famiglia che l’aveva prima comprata, poi amata come una figlia, si scontrò con la feroce capacità umana di tracciare confini e limiti.
Si sposò, ebbe tre figli, due morirono, il marito scappò via e la lasciò sola con l’ultimo figlio rimasto. Ricominciò come sempre hanno ricominciato le donne africane in una America ancora troppo incline a considerarle merce. Dal basso, guardando sempre in alto, fiera e invincibile.
Lavorò come domestica, nel poco tempo libero che le rimaneva componeva versi. Lo spirito era indomito, il corpo si piegò alla fame, alla povertà, alla fatica, alla mancanza di cure. Ad un mondo che non la voleva.
Morì a soli 31 anni, a distanza di poche ore morì anche suo figlio e furono seppelliti insieme in una tomba anonima.
Nessuno volle pubblicare il suo secondo libro di poesie, che andò perso.
Restano di lei pochi e accorati versi.
“Ascoltate i miei canti, voi nove sempre onorati, assistete le mie fatiche e affinate i miei canti; versate le note nei numeri più dolci, perché la luminosa Aurora ora esige il mio canto”.